Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

La libertà e il senso da dare all’antifascismo

di Luca Diotallevi
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Sabato 12 Novembre 2022, 00:27

Il 28 Ottobre scorso ricorrevano cento anni dalla “marcia su Roma”, atto di nascita del Fascismo come regime. La giornata è passata senza che la cronaca abbia avuto granché da registrare, salvo qualche vergognosa manifestazione di nostalgia da una parte e qualche trabocchetto andato a vuoto dall’altra. 28 Ottobre 2022: niente per la cronaca, ma molto per la storia. La storia, infatti, non nasce dal sommarsi delle cronache.
Il 28 Ottobre del 2022 resterà nella storia.

Le istituzioni liberali, repubblicane e democratiche lo hanno vissuto da vincitrici, non da sconfitte, come invece era avvenuto il 28 Ottobre del 1922. Cento anni dopo le istituzioni della libertà, della repubblica e della democrazia anche in Italia hanno portato a termine un lavoro davvero arduo. Pur sempre fragili e malmesse, sforacchiate e cigolanti, cento anni dopo hanno avuto la meglio sulle (solo apparentemente) ben più vigorose forze illiberali, stataliste ed antidemocratiche presenti nella nostra vicenda nazionale. Le istituzioni liberali-repubblicane-democratiche sembrano essere riuscite a svolgere un lavoro ancora più duro di quello che dovette fare Cavour per mettere in riga Garibaldi. Infatti, con i cattolici, i social-comunisti e la destra post-fascista erede dichiarata dello spirito di Salò, non ci si trovava di fronte solo ad un po’ di esuberanza e di utopismo, ma a veri e propri attori anti-sistema.


I cattolici in larga maggioranza, e le gerarchie ecclesiastiche in proporzione ancora maggiore, erano stati contro il Risorgimento e poi erano passati dalla parte del fascismo. Li ritroveremo in massa dalla parte della libertà, della repubblica e della democrazia solo durante il cantiere costituente e nel 1948 (… magari anche a causa di circostanze particolari, ma poco importa). Dovremo invece aspettare gli anni ’80 del Novecento per vedere i comunisti che rompono con Mosca (e non tutti). Da ultimo, è vecchia solo di poche ore l’entrata in carica di un governo di destra che dichiara di assumere come proprio orizzonte quello della democrazia repubblicana e liberale e dei suoi nessi vitali con l’Unione Europea e la Nato.


Le istituzioni della libertà, della repubblica e della democrazia hanno scelto di compiere un lavoro assai più complesso di quello dei regimi opposti (autocrazie, integralismi religiosi o laici, dittature). A questi ultimi basta omogeneizzare o espellere, spianare la società e disciplinarla. Al contrario, le istituzioni di libertà-repubblica-democrazia debbono lasciar fiorire la società nelle sue diversità e coinvolgere in cooperazioni e conflitti persino le sue componenti potenzialmente sovversive.
La Repubblica Italiana nata nel secondo dopoguerra – con tutti i suoi limiti – si è mostrata all’altezza di un compito nel quale persino l’epoca giolittiana aveva fallito. Certamente, il moto politicamente centripeto impresso alla società da libertà-repubblica-democrazia ha funzionato anche perché nei tre movimenti sovversivi ci sono stati dei “traditori”. Sturzo e De Gasperi tra i cattolici. Turati e Saragat tra i socialisti. Tra i comunisti coloro che lasciarono il Pci nel ’56 quando la tirannide rossa e russa giunse a calpestare l’Ungheria. Infine, oggi, l’on.le Meloni dovrebbe e potrebbe portare a compimento a destra il “tradimento” per primo fomentato da Berlusconi ad inizi anni ’90. In ogni caso, la regola che a distanza appare chiara è che i “traditori” hanno sconfitto i sovversivi solo quando senza ambiguità si sono collegati al moto centripeto sprigionato dalle istituzioni di libertà, repubblica e democrazia.


Operazione compiuta, dunque? Neppure per sogno.
La democrazia perfetta non esiste: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” (W. Churchill, 1947). I suoi insuccessi a volte alimentano spinte riformiste, altre volte invece vengono strumentalizzati da attori anti-sistema. In questi ultimi casi il moto centripeto della democrazia si fa più faticoso, e più urgente. Quelli presenti sono tempi di questo ultimo tipo e in ciò risiede un motivo in più per non abbassare la guardia della vigilanza democratica. Lo sanno fin troppo bene negli Usa, in Gran Bretagna o in Francia, figuriamoci se possiamo dimenticarlo in Italia, dove le istituzioni di libertà-repubblica-democrazia sono assai più giovani e certamente non più robuste.
Allora, proprio per alimentare questa vigilanza liberale, repubblicana e democratica, non possiamo scansare il nodo ruvido e decisivo dell’anti-fascismo.

In altre parole, ancora oggi, proprio oggi, l’anti-fascismo è qualcosa che non possiamo permetterci né di archiviare né di mitizzare.


Antifascismo da non archiviare. I totalitarismi, i sovranismi ed i populismi, oggi sono tornati ad aggredire le istituzioni della libertà, della repubblica e della democrazia, a livello locale (dall’interno) ed a livello globale (dall’esterno). La alternativa tra totalitarismi e democrazie non è pura teoria, ma rude fatto, realtà, storia. E il fatto, incontestabile, è che l’Italia ha detto “no” al totalitarismo dicendo “no” al fascismo; a tutto il fascismo, non solo a quello delle abominevoli e criminali leggi razziali, ma anche a quello che va dalle manganellate e dall’olio di ricino sino agli omicidi di Matteotti o don Minzoni sino alle stragi repubblichine del dopo-8 Settembre. In Italia, senza un saldo ed inequivoco ancoraggio anti-fascista ogni “no” al totalitarismo sbiadisce, si riduce ad un “no” astratto ed indolore.


Antifascismo da non mitizzare. Tuttavia l’anti-fascismo può sbiadire anche in un altro modo. Scivolando lungo un pendio per dir così opposto, l’anti-fascismo perde ogni credibilità quando non sa diventare senza tentennamenti anche un “no” ad ogni regime illiberale, ad esempio un “no” ad ogni regime comunista. Diciamocelo nel modo più sgradevole: un anti-fascismo che non sia anche anti-comunismo è credibile quanto lo possono essere le dichiarazioni di fedeltà democratica accompagnate da giri di parole, eccezioni e indulgenze su Mussolini, il suo regime e le sue “camice nere”. Del resto, chiediamoci: che sarebbe successo alla libertà, alla repubblica ed alla democrazia italiane se, dopo aver sconfitto il fascismo il 25 Aprile del 1945, il 18 Aprile di tre anni dopo avessimo consegnato il paese ai social-comunisti?


L’anti-fascismo vitale è quello che parte da una posizione precisa sul passato e che di lì – come detta la Costituzione – sa divenire un antitotalitarismo senza eccezioni. L’anti-fascismo credibile è quello che impedisce di tornare indietro e che smaschera chi vuol star fermo. Un anti-fascismo vitale e credibile è un antifascismo né annacquato né imbalsamato.

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