«L’emergenza del nuovo millennio nei Paesi industrializzati non è la disoccupazione o la povertà, ma il disagio mentale, soprattutto depressione e ansia, che sono i disturbi più diffusi e quindi hanno le conseguenze più pesanti sulla qualità della vita. E sull’economia». Parlava così nel 2010 l’economista Richard Layard, professore emerito alla London School of Economics, dove allora guidava il Centre for Economic Performance e oggi codirige il programma Community Wellbeing.
I fatti gli hanno dato ragione. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che i disturbi psichiatrici costino ogni anno all’economia mondiale 12 milioni di giornate lavorative perse e un trilione di dollari in termini di produttività. I suicidi aumentano, punta dell’iceberg di un disagio diffuso e sommerso.
L’allarme risuona alto, soprattutto perché chi risulta più a rischio – le donne e i giovani – è anche chi ha tassi di occupazione più bassi e lavora in peggiori condizioni contrattuali e salariali, con il pericolo che le malattie mentali possano aggravare gli squilibri e costituire un’ulteriore barriera all’accesso al mercato del lavoro. Quella che gli psichiatri chiamano «nuova pandemia» è un’emergenza subdola, spesso misconosciuta, sulla quale il Governo ha voluto dare un segnale di attenzione, rifinanziando il bonus psicologo nella legge di bilancio 2024. Ma la sofferenza della mente dipende anche dai valori e dallo stile di vita dell’intera società, dalle reti familiari e amicali smagliate, dalle troppe solitudini, dalla perdita di speranza nel futuro. Una piaga, quest’ultima, contro la quale l’ex Governatore della Banca d’Italia Guido Carli, per me il nonno che mi ha cresciuto, avrebbe combattuto strenuamente, convinto com’era che la fiducia nel merito e nelle nuove generazioni fosse un ingrediente essenziale per la crescita del Paese.
L’APPUNTAMENTO
Memore della lezione dello statista, la Fondazione a lui intitolata e che mi onoro di presiedere ha scelto di dedicare al tema “Imperfetti e felici.