L'intervista impossibile, Thomas Edison: «Con quella lampadina ho acceso il mondo»

L'intervista impossibile, Thomas Edison: «Con quella lampadina ho acceso il mondo»
di Marco Barbieri
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Mercoledì 3 Agosto 2022, 18:52

Una vita di successo. Una storia di genio e di impresa. Non capita tutti i giorni di intervistare Thomas Alva Edison. Domanda d’obbligo: come accese la sua famosa lampadina?

«Fa dello spirito? Non avevo certo i vostri comodi interruttori. Ci arrivai provando e riprovando».

Però ha fallito 5.000 volte con i suoi esperimenti.

«Ma per favore, ho avuto successo 5.000 volte: gli insuccessi mi hanno insegnato che quei materiali non funzionavano. Io non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato millenovecentonovantanove modi su come non va fatta una lampadina».

Qualcuno ha criticato questo suo sperimentalismo: tanta tenacia ma poco studio.

«Mi ricorda la frase di Nicola Tesla. Ce l’aveva con me perché ero uno sperimentatore, non un teorico. Sì, sono un autodidatta. E allora? La nostra più grande debolezza sta nel rinunciare. Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica».

Un distillato di saggezza, però non molto imprenditoriale.

«Non ho mai voluto inventare qualcosa che non vendesse. La vendita è la prova dell’utilità e l’utilità è successo. Ho voluto rendere l’elettricità così economica che solo i ricchi si sarebbero potuti permettere il lusso di utilizzare le candele».

Con i suoi 1.093 brevetti registrati a suo nome è stato considerato uno dei più prolifici progettisti del suo tempo.

«Non solo del mio tempo, credo. Le confesso una cosa: non ho mai lavorato un giorno solo in vita mia, mi sono sempre divertito. Ma il divertimento non è mai senza fatica. Mi sono applicato molto. Non mi sono mai scoraggiato perché ogni tentativo sbagliato è un altro passo avanti. L’opportunità viene mancata da molte persone perché è vestita di abiti da lavoro e somiglia a un lavoro. I tre elementi essenziali per ottenere qualsiasi cosa valga la pena avere sono: primo, duro lavoro; secondo, persistenza; terzo, buonsenso».

Sì, però lei è stato un genio.

«Il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% traspirazione. Insomma, sudore. La prima fatica è quella di pensare. Mi piaceva ripetere che solo il 5% della gente pensa; il 10% pensa di pensare; e l’altro 85% preferirebbe morire piuttosto che pensare.

Il compito principale della civiltà è insegnare alle persone a pensare. Dovrebbe essere lo scopo principale delle nostre scuole pubbliche».

A proposito di insegnamento e di formazione. Ha un consiglio per le giovani generazioni?

«Entro breve tempo i libri saranno obsoleti nelle scuole. È possibile apprendere ogni branca del sapere umano con l’aiuto dei documentari. Il nostro sistema scolastico cambierà radicalmente nell’arco di dieci anni».

Questo lei lo diceva all’inizio del secolo scorso, diciamo 120-130 anni fa. I libri esistono ancora, ma in parte ci ha azzeccato. I video sono sempre più importanti.

«Più di cinque anni prima dei fratelli Lumière ho inventato il cinetoscopio nei miei laboratori di Menlo Park, nel New Jersey. Loro capirono che la proiezione doveva essere un fatto pubblico. Io pensavo a un consumo privato, individuale. Il cinema è uno dei tre linguaggi universali; gli altri due sono la matematica e la musica. Chiunque controlla il cinema, controlla il mezzo più potente di penetrazione delle masse».

Fare un elenco delle sue invenzioni è imbarazzante.

«Sono orgoglioso del fatto che non ho mai inventato armi per uccidere».

Non è del tutto vero. Come cataloghiamo la sedia elettrica?

«Mi ci hanno tirato per i capelli, con la scusa di trovare un modo meno disumano di uccidere, che non fosse l’impiccagione. E poi la sedia elettrica usava la corrente alternata, non la mia corrente continua».

Già, ci eravamo dimenticati della guerra delle correnti. Lei contro Westinghouse, e Tesla. Alla fine ebbero ragione loro. La corrente alternata è meglio di quella continua…

«Meglio? Dipende. Certo più pericolosa. Più facile da trasportare? Forse. Ma senza la mia lampadina non avremmo avuto bisogno di una rete elettrica. Né delle centrali elettriche. Cambiò il mondo».

Nel 1925 lei disse: «Tra quindici anni si userà l’elettricità più per le auto che per la luce».

«Ho avuto ragione anche allora. Il mondo è solo cambiato un po’ meno velocemente di quanto io avessi previsto». 

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