Transizione green, serve un cambio di passo per il target del 2030

Costerà almeno 830 miliardi di investimenti la transizione dell'Italia

Transizione green, serve un cambio di passo per il target del 2030
di Roberta Amoruso
4 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Ottobre 2023, 11:52

Costerà almeno 830 miliardi di investimenti, tra tecnologie e una parte di infrastrutture, la transizione green dell’Italia da centrare nel 2030, secondo la rotta puntualmente stabilita dalle 423 pagine del Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima inviato dal governo italiano a Bruxelles. E se si toglie la fetta corposa (da 524,9 miliardi) da dedicare solo ai veicoli a basse o zero emissioni, un’altra parte generosa spetterà proprio al capitolo rinnovabili, che entro il 2030 vedrà investimenti per 66 miliardi di euro, secondo lo stesso Piano, quasi il doppio di quanto previsto a politiche correnti. Questo significa che ammonta a circa 20 miliardi la dote aggiuntiva messa sul tavolo solo per il fotovoltaico.

 Fin qui le munizioni che serviranno per arrivare al traguardo fissato per l’Italia al 40% tra sette anni in base alle regole del Fit For 55 in materia di emissioni di gas serra riviste dal RepowerEu. Altra cosa è la rotta di crociera ancora troppo lenta su questo fronte per un’Italia impegnata anche nel completamento della diversificazione dal gas russo. Per centrare gli obiettivi imposti dall’Europa il nostro Paese dovrebbe riuscire a installare, entro il 2030, qualcosa come 80 Gigawatt di potenza green aggiuntiva. A che punto siamo? Nonostante l’accelerazione – quest’anno si stima di installare 6 Gigawatt, il doppio rispetto ai 3 del 2022 – ci vorrebbe davvero uno scatto straordinario per arrivare in tempo alla meta. Si tratta di produrre 12 Gigawatt in più all’anno. Una sfida difficile da vincere considerando i paletti e gli ostacoli ancora pesanti sul fronte autorizzativo, nonostante gli sforzi di semplificazione del governo. Mettere in produzione grandi impianti di pannelli solari ed eolici risulta ancora un affare che può impegnare anni in Italia: fino a 7 anni dicono gli operatori. In Germania e Francia bastano 12 mesi.

IL NODO PERMITTING

 Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, promette che lo sforzo sarà spinto al massimo per cambiare il passo. L’obiettivo è arrivare a breve a una norma che incentivi le Regioni ad autorizzare più impianti possibili e in fretta che si può. Magari con quote sostanziose di energia da trattenere per i cittadini della Regione interessata. Ma è anche al Testo Unico delle rinnovabili che guarda il ministro Pichetto. Troppe norme, tra vecchie e nuove, alimentano la burocrazia e ci lasciano sempre indietro rispetto alla velocità del resto d’Europa. Un passo cruciale in questa direzione è stato fatto a luglio con la definizione del Piano delle Aree idonee, atteso da quasi due anni e adesso al tavolo della Conferenza unificata delle Regioni. Ma alle autorizzazioni automatiche nelle aree indicate dalle Regioni secondo i parametri del Ministero dell’Ambiente (il Mase) andrà aggiunta la semplificazione. «Si dovrà accelerare e rafforzare il percorso avviato per fare dell’Italia un “hub” di generazione e transito di energia, con un contributo crescente di energie rinnovabili, cogliendone a pieno i benefici in termini di diversificazione, sicurezza, e liquidità delle forniture, oltre a quelli di rafforzate partnerships con i Paesi fornitori», è scritto nel Pniec.

IL SETTORE

 Ma il futuro non è soltanto nel fotovoltaico e nell’eolico. «Dobbiamo arrivare nel 2030 a un ribaltamento sull’energia elettrica, con due terzi prodotta da fonte rinnovabile», ha spiegato qualche giorno fa lo stesso Pichetto. «Questo significa», ha continuato, «puntare anche su geotermico e idroelettrico per recuperare quanto perso negli ultimi anni». Lo stesso ministro ha ricordato poi alla Camera come l’Italia sia tra i leader europei in questo settore con una produzione elettrica annua di circa 6 Terawattora e ulteriori prospettive di crescita al 2030 come previsto anche dal Pniec. Un ruolo di rilievo che spiega l’inclusione tra gli impianti oggetto di incentivazione nel cosiddetto decreto FER 2.

La proroga del termine di scadenza delle concessioni geotermiche a dicembre 2025, ha spiegato il ministro, «consentirà di avviare un Tavolo tecnico con tutti i soggetti interessati per valutare gli interventi volti a garantire al settore un quadro regolatorio stabile che consenta lo sviluppo di investimenti».

Sono due le zone ad alta geotermia in Italia, entrambe in Toscana: il triangolo Larderello-Travale-Radicondoli e il Monte Amiata. Di fatto, il distretto geotermico toscano, con una potenza installata di 916 Megawatt, è il più antico e al contempo il più innovativo del pianeta: delle 34 centrali geotermoelettriche (37 gruppi di produzione) di Enel Green Power, 16 sono in provincia di Pisa, 9 nella provincia senese e 9 nel territorio provinciale di Grosseto. I circa 6 miliardi di Kilowattora prodotti in Toscana, oltre a soddisfare oltre il 33% del fabbisogno elettrico regionale e a rappresentare il 70% dell’energia rinnovabile prodotta in Toscana, forniscono calore utile a riscaldare quasi 10mila utenti residenziali in 9 Comuni geotermici nonché aziende ed esercizi commerciali e un’importante filiera artigianale, agroalimentare e turistica. Recentemente Enel Green Power Italia e Nippon Gases Operations, parte del gruppo Nippon Gases Italia specializzato in gas industriali atmosferici e di processo, hanno anche siglato un accordo per la realizzazione di un nuovo impianto di riutilizzo, purificazione e liquefazione ai fini alimentari della CO2 naturalmente presente nei fluidi geotermici delle centrali di Piancastagnaio, in provincia di Siena.

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