Andrà di moda vestire verde futuro

L'abito fatto di rifiuti che Guillermo Mariotto propose per Gattinoni nel 2008
di Veronica Timperi
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Mercoledì 30 Ottobre 2019, 11:06
Green is the new black. E non si parla del colore verde, ma di una mentalità ecosostenibile che si sta facendo sempre più strada nel mondo della moda, tra le grandi griffe e i colossi del fast fashion che stanno sottoscrivendo, uno dopo l'altro, piani di sostenibilità per i prossimi 5 anni.
Gucci, ad esempio, ha appena annunciato il suo approccio Carbon Neutral e il suo impegno all'impatto zero a 360 gradi. Il perché di questa corsa alla sostenibilità diventata emergenza è presto spiegato: attualmente, solo l'1% degli abiti a livello mondiale viene riciclato, e solo lavando i nostri vestiti, ogni anno rilasciamo nell'oceano mezzo milione di tonnellate di microfibre, l'equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica. La tintura dei tessuti, invece, risulta essere addirittura al secondo posto fra le maggiori cause di inquinamento dell'acqua sul pianeta: basti pensare che per realizzare un paio di jeans ne servono 7.500 litri. All'inquinamento si vanno ad aggiungere le emissioni di gas serra: l'8% di quelle globali sono riconducibili all'industria dell'abbigliamento e delle scarpe. Il settore tessile, con i suoi 1,2 miliardi di tonnellate annuali di CO2 emessa, supera la somma delle emissioni dovute al trasporto aereo o marittimo.
Oggi più che mai, quindi, è diventato quasi un imperativo, nel mondo della moda, traghettare la produzione e l'utilizzo di abiti ed accessori verso un approccio ecosostenibile. Se nel 2008, Guillermo Mariotto per Gattinoni aveva denunciato questo stato di necessità con la prima sfilata Haute Couture sostenibile che parlava di universi contaminati, foreste disboscate, rifiuti e discariche, cambiamenti climatici, in un decennio è cambiata completamente la percezione della moda green. Anche top model ed influencer stanno cambiando le loro abitudini modaiole in nome della salvaguardia del pianeta. La ricerca sulla filiera di produzione è estenuante ed accurata. Dai materiali di abiti 100% naturali, come i filati di Woolmark, agli accessori fino al packaging e alle etichette, niente si sottrae all'onda eco-friendly.
STELLA COMETA
In questo cambiamento culturale ha avuto un ruolo fondamentale Stella McCartney, la pioniera del ready to wear green con i suoi capi vegani, in fibre nature, ma anche Vivienne Westwood che da anni si è fatta portavoce di messaggi in favore della lotta ai cambiamenti climatici e alla salvaguardia del pianeta attraverso la sua moda dissacrante. Una parte importante, in questa rivoluzione culturale fashion, la svolge il concetto di riuso che è assolutamente da rivalutare. Oggi, infatti, uno dei mercati più in movimento è proprio quello del second hand, i vestiti a cui si dà una seconda (ma anche terza) vita, soprattutto quando si tratta di prodotti di lusso. Spopolano infatti siti e-commerce dedicati, swap market, per scambiare capi e diminuire così i rifiuti tessili e addirittura la possibilità di noleggiare outfit. L'ultima iniziativa in ordine di tempo è quella di Twin Set, Pleasedontbuy, che in italiano significa per favore non comprate. Si tratta di una capsule di abiti da occasione destinati ad essere affittati a un prezzo tra i 40/100 Euro.
Ma non solo: l'approccio all'economia circolare nella moda si traduce in innovazione. Da rifiuti organici infatti possono nascere tessuti naturali e addirittura della similpelle. Esistono t-shirt realizzate con la caseina estratta dalle eccedenze di latte e addirittura gli abiti da sposa prendono spunto dal riuso caseario, utilizzando gli schiavini, i teli di lino usati per raccogliere il Grana Padano. Dagli scarti delle arance può nascere un filato setoso e leggero.
BASTA IL PENSIERO
Lo sa bene Salvatore Ferragamo, uno dei brand più green del made in Italy, che oltre alla mostra, Sustainable Thinking ancora in cartellone a Firenze fino a marzo 2020, ha lanciato una capsule collection sostenibile in collaborazione con Orange Fiber, l'innovativa start-up, fondata da due giovani di origine siciliana. Oltre al riuso fashion degli scarti alimentari tanto si riesce a fare dal recupero della plastica. Un esempio? Le sneakers Rebotl firmate Timberland, realizzate con l'equivalente di 310 milioni di bottiglie di plastica. Dalle tende di casa possono nascere borse uniche come quelle di North Face create con lo stilista britannico Christopher Raeburn. Falconeri dalle maglie dismesse in cashmere e misto cashmere dà vita a caldi e morbidi plaid. Alla fine, nella moda, tutto torna. Si può dire che il principio del chimico Antoine-Laurent Lavoisier, secondo cui «nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma» nell'universo fashion può trovare la sua espressione più riuscita.
 
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