Decennale sisma 2009/Bertolaso al Messaggero: «Ritrovare l'orgoglio di quei giorni, qui risposta senza precedenti»

Decennale sisma 2009/Bertolaso al Messaggero: «Ritrovare l'orgoglio di quei giorni, qui risposta senza precedenti»
di Guido Bertolaso
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Mercoledì 3 Aprile 2019, 10:40
"Mai avrei pensato di scrivere una lettera ad una casa, ad una casa che non ho neanche mai scelto tra l'altro perché otto anni fa, quando davvero eravamo in molti, troppi, a non avere più di una busta con qualche vestito tra le mani, sono stato accolto dentro un alloggio, a Sant'Elia, luogo che prima del terremoto era solamente di passaggio, per chi dal centro si muoveva sulla statale per andare verso Santo Stefano, verso il monastero di Santo Spirito ad Ocre, verso Pescara se vogliamo e voglio concentrarmi per un attimo su quelle che a prescindere da tutto sono state quattro mura che mi hanno protetto dal freddo durante l'inverno, non scorderò mai la nevicata del 2012, e tenuto a riparo dal caldo durante le estati passate a L'Aquila, vuoi per i corsi di recupero ai tempi del liceo, vuoi perché si doveva suonare.
Mi viene da dire grazie a queste quattro mura, o poco più, che lascio con un groppone sul cuore dopo 8 anni, perché mi hanno permesso di avere di nuovo un nido, un rifugio, dopo che la testa si sentiva solamente dispersa per non so bene quale altro mondo parallelo, perché hanno segnato un nuovo inizio, e negli anni si sono impregnate di ricordi, che preferisco tenere per me, incastonati nella mente, pronti ad essere sfogliati ogni volta che mi prenderà quella nostalgia che sa d'inverno quando è luglio e viceversa.
Grazie a "casa a Sant'Elia", dove ho passato 8 anni belli, intensi, dove ho fatto la lotta con nonno ed ho imparato a cucinare qualcosa, dove ho fatto incazzare i miei amici che mi aspettavano sullo sterrato proprio di fronte al terrazzo quando dovevamo uscire a causa del mio essere ritardatario, molto ritardatario, dove ho preso i caffè prima di buttarmi sui libri, dove ho scritto le mie prime canzoni, dove fortunatamente ho fatto in tempo a far entrare un raggio di luna tra queste quattro mura, dove ho dormito con i miei amici più cari quando certe sere facevamo fatica anche a trovare la serratura della porta per inserire la chiave e rientrare in casa, dove ho ascoltato tanta musica, dove ho letto libri, dove ho esultato per una partita o dove ho guardato dei film dall'inizio alla fine, io che di cultura cinematografica purtroppo non ne so molto.
Grazie a "casa a Sant'Elia" per avermi accompagnato in questa prima parte, importante, della mia crescita.
Ci lascio un pezzo di cuore lì, ogni tanto tornerò per sedermi su una panchina lì fuori mentre un bambino gioca con un pallone o il dirimpettaio saluta tutti col sorriso e chiama il suo cane che lo sa solo lui dove sta.”


Difficile trovare un riconoscimento più genuino di questa lettera che un anonimo studente ha affidato, ormai quasi due anni or sono, al web per condividere la sua riconoscenza per essere stato accolto in una abitazione degna di questo nome pochi mesi dopo quel terribile 6 aprile di dieci anni fa. 
La vicenda la ricordiamo tutti molto bene.

Per evitare sia l’abbandono della città verso la costa oppure verso la capitale ovvero la vergognosa e drammatica permanenza in abitazioni di fortuna, di latta o di cartone, si decise di realizzare, fra l’altro, il ben noto progetto CASE, in zone identificate dall’allora sindaco de L’Aquila secondo un progetto innovativo apprezzato dai più ma anche criticato da molti.

Sono ormai all’ordine del giorno le commemorazioni in ogni dove d’Italia in onore di Giuseppe Zamberletti, il riconosciuto padre della moderna Protezione Civile, scomparso pochi mesi or sono nella sua Varese.
Tutti oggi narrano come lui, protagonista di interventi su emergenze di dimensioni quali il terremoto del Friuli e dell’Irpinia, della frana in Valtellina e del dramma dei profughi vietnamiti, difendesse con tenacia e passione soprattutto l’esigenza di superare qualsiasi ostacolo, diffidenza, ostracismo o volontà politica per garantire un immediato decoroso alloggio agli sfollati, a qualsiasi costo, economico o sociale che fosse. 

Per capirne le ragioni, basta guardare alla storia triste e ripetuta del nostro Paese: il rischio dell’abbandono di interi territori dopo una catastrofe è una prospettiva reale e per certi versi quasi ineluttabile. Accade sempre, dopo i primi momenti dell’emergenza quando la solidarietà degli italiani primeggia nel mondo e le telecamere registrano le promesse del politico di turno, l’inevitabile “cambio di passo”, il rarefarsi della volontà, il tornare a declinare l’immediatezza con tempi che con essa nulla hanno a che fare, il cambiamento delle attenzioni e delle priorità prima che il problema sia risolto davvero. Quando sento la mitica frase: ”sconfiggeremo la burocrazia” mi viene da ridere, cos’è la burocrazia se non il prevalere di logiche ordinarie di competenza, di attribuzione, di gerarchia e autonomia di un’amministrazione rispetto all’altra che sono tra gli aspetti più nefasti della nostra cultura, del nostro modo di intendere non solo la politica e l’attività amministrativa, ma lo stesso nostro stare insieme ed essere una società civile?

Ci voleva coraggio, fantasia e capacità di guardare oltre la contingenza per immaginare quale strada percorrere, consapevoli e certi del fatto che per la ricostruzione vera, seria e concreta di una delle 20 città più importanti d’Italia sotto il profilo della storia, arte ed architettura, ci sarebbero voluti come minimo dieci anni!
Trovo inadeguato il paragone che qualcuno cerca di utilizzare fra la tragedia del 6 aprile ed altre analoghe vicende che hanno colpito il nostro Paese prima e dopo quella data; tuttavia chi ha avuto una minima esperienza in gestione di situazioni appena complesse capisce al volo la grande differenza che distingue il sisma di un’area anche molto vasta da un punto di vista geografico ma assai poco popolata rispetto al dramma di un capoluogo di regione colpito al cuore. 

Per trovare memoria di una simile situazione si deve fare un passo indietro a più di un secolo fa quando Messina e Reggio Calabria furono rase al suolo dal terremoto e dal conseguente tsunami.
E invece, nel Paese dove il giorno dopo qualsiasi evento sono tutti commissari tecnici, abbiamo registrato in questi dieci anni critiche solenni di ogni ordine e grado, di ministri, archistar,senatori a vita ed opinionisti vari che hanno sproloquiato sulle cosiddette new town senza aver trascorso a L’Aquila neppure un secondo della loro ammirabile vita professionale. 

Garantire un minimo di assistenza e conforto mentre ancora si lavorava dentro le macerie per salvare ogni vita possibile fu la prima ed immediata azione che venne adottata mentre si cominciavano a definire le conseguenze di quella tragedia e già si guardava alle strategie per il medio e lungo termine. 80 mila cittadini da sistemare, un comparto economico semidistrutto, infrastrutture fuori uso, scuole, università  e centri sanitari inagibili, un anno scolastico da concludere ed uno nuovo da avviare dopo pochi mesi pena il trasferimento di oltre 16mila studenti in altre città e con loro genitori e parenti vari. 

E mentre nelle oltre cento tendopoli, militari e volontari di ogni regione assistevano migliaia di famiglie e negli alberghi della costa lo stesso avveniva con chi aveva scelto questa soluzione, venivano avviati i cantieri per garantire un futuro certo a tutta la provincia con appalti e procedure di selezione delle ditte che in molti casi hanno ricevuto il plauso delle imprese scartateche hanno riconosciuto per la trasparenza e correttezza delle procedure, per non parlare delle tempistiche, rispettate senza MAI aver operato in deroga alle normative vigenti: 
- 4500 alloggi in 16 complessi residenziali nell’ambito del progetto CASE con quasi ventimila cittadini ospitati;
- 3113 Map-villette di legno (o baracche come le ha chiamate qualcuno…),1113 delle quali sempre nelle varie frazioni del capoluogo per altri ventimila abruzzesi;
- 38 scuole di ogni ordine e grado dove a metà settembre dello stesso anno sono entrati in classe oltre sedicimila studenti;
- un conservatorio, non di cartone come regalato da un paese straniero, ma tale da essere ancor oggi un punto di riferimento culturale e didattico per un territorio immenso.
Fatti e non parole, il tutto nell’arco di poco meno di dieci mesi complessivi, quasi fantascienza se paragonati a cosa in genere avviene in Italia.

Mi piace ricordare l’incredibile organizzazione per garantire ad ogni giovane del posto la certezza del diritto allo studio che rappresentò per tutti noi una priorità assoluta: chissà se qualche giovane ha mai raccontato, come ha fatto lo studente di cui parlavo all’inizio, della sveglia in qualche albergo della costa alle 4 del mattino, del viaggio verso L’Aquila insieme ai compagni di classe sui mezzi delle nostre forze armate, del cappuccino e cornetto che trovavano al loro ingresso in classe e del pisolino che schiacciavano nel viaggio di ritorno…Storie, episodi, puntate di una lunga e avvincente vicenda che vide tutto il Paese seguire con apprensione le quotidiane difficoltà dei nostri concittadini, convinto che finalmente anche le più brutte pagine di situazioni analoghe del recente passato venissero spazzate via da un metodo ed una partecipazione più civile, più moderna, di certo più efficace.
 
Il  tempo, lo sappiamo bene,scorre con velocità diverse per chi la storia la vive sulla propria pelle,giorno per giorno, e chi invece pensa di viverla solo perché gli viene proposta e ripetuta dai media, che ti raccontano quello che può far più comodo, e non si accorgono quindi che la vita reale non funziona come una lavagna che si cancella ogni giorno per far posto alle nuove notizie. Questo gli aquilani,gli abruzzesi lo hanno imparato bene,sulla loro pelle e da buoni abitanti di una terra aspra e difficle, e per questo bellissima, hanno saputo conservare una buona memoria, vero e unico parametro con il quale puoi giudicare,valutare,confrontare e distinguere infine fra chi ha dato tutto se stesso,anima mente e cuore per alleviare un dolore profondo e insanabile e chi invece promette,promette e poi volge lo sguardo altrove.
 
Sono convinto che la ricostruzione della città,quella materiale almeno,sia davvero sulla buona strada,sono convinto che la forza,la pazienza, la tenacia  e la speranza dei suoi abitanti riusciranno a compiere questo miracolo, si tratta di un’esigenza assoluta per il Paese che non può permettersi altri errori,altre delusioni,ma deve invece ritrovare l’orgoglio di quei giorni,di quei mesi di grande unità e collaborazione ed anche perché …”L’Aquila bella mai non può morire”. 

 
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