Nella Tuscia perse quasi 2mila botteghe artigiane in 10 anni: così centri e quartieri meno sicuri

Nella Tuscia perse quasi 2mila botteghe artigiane in 10 anni: così centri e quartieri meno sicuri
di Federica Lupino
2 Minuti di Lettura
Giovedì 30 Marzo 2023, 08:21 - Ultimo aggiornamento: 18:02

Una categoria in via d’estinzione? Di sicuro, per gli artigiani andare avanti è sempre più dura. Sono soprattutto i mestieri più “antichi” a rischiare di scomparire. È sempre più difficile trovare calzolai, fabbri, corniciai, falegnami, impagliatori, materassai, orologiai, pellettieri, ricamatrici e sarti, riparatori di elettrodomestici, tappezzieri e vetrai. Un’emorragia continua e inarrestabile quella patita dalla categoria che un tempo animava le botteghe dei centri storici di tutta Italia. E che ora lascia il passo a serrande abbassate e vetrine impolverate. Una fotografia cristallina del fenomeno la scatta la Cgia di Mestre, associazione di categoria: negli ultimi 10 anni, infatti, il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300 mila unità, per la precisione meno 281.925.

Viterbo non fa certo eccezione. Anzi, nella classifica delle province italiane per numero imprenditori artigiani presenti, ovvero titolari, soci e collaboratori, si piazza 53esima, prima (cioè peggio) di tutte le altre province laziali. Ecco i dati: nel 2012 nella Tuscia risultavano attivi 10.716 artigiani, scesi nel 2021 a 9.005. Un calo di 1.711 unità, ovvero del16%. Riduzione più contenuta a Rieti che si piazza 64esima (meno 14,5%), Frosinone 71esima (meno 14,2%), Latina 89esima (meno 11,3%), Roma 97esima (meno 8,3%).

I motivi di questa contrazione per l’associazione di categoria sono l’impennata degli affitti e delle tasse, l’insufficiente ricambio generazionale, la contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico.

Le conseguenze non sono solo in termini economici e occupazionali.

Il colpo d’occhio, camminando per centri storici e quartieri di periferia, è lapalissiano: insegne rimosse o annerite dal tempo restituiscono l’immagine plastica di un mondo profondamente cambiato. Ma con le luci spente delle botteghe se ne va anche un presidio sul territorio. “Sono – ragionano dalla Cgia - un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi di scambio dove le persone si incontrano anche per fare solo due chiacchere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure”. I più penalizzati sono gli anziani.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA