Una categoria in via d’estinzione? Di sicuro, per gli artigiani andare avanti è sempre più dura. Sono soprattutto i mestieri più “antichi” a rischiare di scomparire. È sempre più difficile trovare calzolai, fabbri, corniciai, falegnami, impagliatori, materassai, orologiai, pellettieri, ricamatrici e sarti, riparatori di elettrodomestici, tappezzieri e vetrai. Un’emorragia continua e inarrestabile quella patita dalla categoria che un tempo animava le botteghe dei centri storici di tutta Italia. E che ora lascia il passo a serrande abbassate e vetrine impolverate. Una fotografia cristallina del fenomeno la scatta la Cgia di Mestre, associazione di categoria: negli ultimi 10 anni, infatti, il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300 mila unità, per la precisione meno 281.925.
Viterbo non fa certo eccezione. Anzi, nella classifica delle province italiane per numero imprenditori artigiani presenti, ovvero titolari, soci e collaboratori, si piazza 53esima, prima (cioè peggio) di tutte le altre province laziali. Ecco i dati: nel 2012 nella Tuscia risultavano attivi 10.716 artigiani, scesi nel 2021 a 9.005. Un calo di 1.711 unità, ovvero del16%. Riduzione più contenuta a Rieti che si piazza 64esima (meno 14,5%), Frosinone 71esima (meno 14,2%), Latina 89esima (meno 11,3%), Roma 97esima (meno 8,3%).
I motivi di questa contrazione per l’associazione di categoria sono l’impennata degli affitti e delle tasse, l’insufficiente ricambio generazionale, la contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico.
Le conseguenze non sono solo in termini economici e occupazionali.