Hassan Sharaf morì nell’estate del 2018 dopo un tentativo di suicidio nella cella di isolamento. Il caso sollevò un gran clamore e non solo per aver portato alla ribalta le condizioni dei detenuti in carcere ma anche perché finirono nel mirino della procura generale i vertici del dap e quelli della procura viterbese a cui venne tolto il caso. Dopo un breve iter giudiziario la Procura generale portò tutti davanti al giudice. E ieri la prima sentenza di condanna, a due mesi e venti giorni, per l’allora vertice di Mammagialla.
«Finalmente una sentenza - ha affermato a caldo l’avvocato Michele Andreano che assiste le parti civili - che buca il muro di gomma che è Viterbo. C’è voluta la avocazione della procura generale, perché nessuno voleva indagare, per arrivare a tutto questo. Ma questa condanna è gravissima perché afferma, che il direttore del carcere ha ignorato un ordine della procura minorile. E’ anche contraddittoria perché secondo noi è ignorando quell’ordine che Hassan tre mesi dopo ha messo in atto il gesto estremo. Non doveva essere lì ma tra quelle mura è morto». La seconda parte del procedimento riguarda l’omicidio colposo per cui sono stati rinviati a giudizio il medico e un agente. «Leggere le motivazioni e faremo le nostre valutazioni - commenta l’avvocato di parte civile Giacomo Barelli -, di certo la sentenza di oggi mette un punto importante. Certificando che nel carcere non era affatto tutto a posto, come volevano farci credere». La prima udienza per i due rinviati a giudizio il prossimo 13 novembre.
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