«Vorrei inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio, chiedo di andare avanti e progredire sempre. E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini». Sotto la grande croce rossa che sovrasta l'altare costruito per la messa nel palasport di Ulan Bator, Papa Francesco fa salire accanto a lui l'attuale vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow Sau-yan assieme all'ex vescovo dell'ex protettorato britannico e ora cardinale John Tong Hon, entrambi in Mongolia per salutare Papa Francesco. Li tiene entrambi per mano in un fuori programma che serve a Bergoglio a mandare un messaggio distensivo alle autorità cinesi. Pechino, infatti, contrariamente a quello che tutti si aspettavano, non ha dato il permesso ai vescovi cinesi di espatriare per raggiungere Ulan Bator. Uno sgarbo nei confronti del Pontefice che già ieri, durante alcuni incontri ufficiali aveva sottolineato che la Chiesa non ha una agenda politica propria, aggiungendo anche che i vescovi non sono equiparabili a dei manager ma sacerdoti al lavoro per il bene comune alla luce del Vangelo.
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Il cardinale della Thailandia Francis Kovithavanji, uno dei porporati arrivati apposta a Ulan Bator ritiene che Papa Francesco abbia una visione lungimirante nel perseguire la cosiddetta 'Silk road' cattolica per normalizzare la chiesa cinese. «A me personalmente pare una cosa buona quella intesa. La Chiesa, come ha affermato Francesco anche ieri, non ha una agenda politica da portare avanti ma l'azione mite e umile del Vangelo per il bene di tutti, per l'armonia, per l'unità del corpo sociale. Quell'accordo farà bene e sarà utile».
Il vescovo di Hong Kong ha declinato risposte sulla Cina, tuttavia ha affermato che prima di trarre conclusioni occorre aspettare di sapere quali sono le reali motivazioni del diniego.