Il nunzio apostolico in Ucraina, il viaggio del Papa a Kiev oggettivamente faticoso

Il nunzio apostolico in Ucraina, il viaggio del Papa a Kiev oggettivamente faticoso
di Franca Giansoldati
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Martedì 5 Aprile 2022, 10:36 - Ultimo aggiornamento: 11:33

Monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, il Papa ha detto che il progetto ce l'ha sul tavolo: potrebbe davvero arrivare prestissimo a Kiev?
«La trasferta sarebbe fattibile attraverso la Polonia, ma resta un viaggio oggettivamente faticoso via terra. Partendo da Roma ci vuole mezza giornata (tra un transfert e l'altro) solo per arrivare in Polonia e da lì si deve proseguire fino a Leopoli. Il trasferimento a Kiev resta lungo, occorre calcolare una giornata di viaggio. Quindi serve una giornata solo ad andare e un'altra solo per tornare».
Sarebbe una presenza simbolica soprattutto per chi soffre in Ucraina...
«A Kiev tutto dipende poi dalla situazione bellica di quel giorno. Sabato, per esempio, è stata una giornata relativamente tranquilla. Non si sono sentiti missili o attacchi aerei. Non siamo dovuti andare nei rifugi».
In nunziatura avete un rifugio?
«Beh non proprio. Si tratta di uno scantinato che abbiamo allestito per ripararci. Ci proteggiamo assieme alle suore, ai collaboratori della nunziatura: la nostra piccola famiglia. Nessuno di noi ha voluto lasciare la sede. Che io sappia a Kiev di ambasciatori residenti siamo rimasti in due, oltre al sottoscritto c'è l'ambasciatore polacco».
Se il Papa arrivasse a Kiev che cosa realisticamente potrebbe fare?
«È questo il nodo principale da sciogliere. Sarebbe certamente una presenza emblematica molto importante ma vi è un aspetto legato alla sicurezza: mi riferisco alla sicurezza della gente che solitamente va ad incontrarlo. Le domande da porsi quindi diventano imprescindibili: chi potrebbe vedere, cosa potrebbe fare? Vi sono le condizioni minime per spostarsi? Naturalmente si può ipotizzare anche una trasferta ridottissima, senza seguito e senza eventi di massa. Ma al momento sarebbe irrealistico e altamente rischioso immaginare una trasferta con eventi pubblici, anche minimi, o spostamenti normali e con giornalisti al seguito».
Quindi il viaggio dipende solo dalla logistica e dalla sicurezza?
«Immagino che vi siano da considerare anche altre questioni legate alle relazioni con Mosca, che suppongo non stia caldeggiando un progetto simile, tuttavia non sono competente e spetta a Roma fare una valutazione complessiva. Io ho solo sotto gli occhi un quadro parziale. Certamente a queste condizioni si tratterebbe di un viaggio papale atipico, non un vero viaggio apostolico che prevede l'incontro con la gente. Posso però immaginare alcuni momenti profetici di vicinanza al popolo sofferente, forse la messa in cattedrale e forse anche l'incontro con il consiglio delle Chiese. Un organismo che in questo momento è davvero molto unito. Ma mi creda, le mie sono solo analisi. Leggo sui siti e vedo in tv che questo viaggio è dato quasi per fatto. Al momento però lo stato delle cose è questo».
Vivere sotto i missili è una esperienza scioccante, lo si vede sui volti dei profughi che arrivano in Europa...
«In questi due giorni non abbiamo sentito nessun missile, sabato scorso era la prima giornata senza artiglieria. Le notizie ci arrivano mescolate e cariche di dolore. Karkhiv e Mariupol, città molto grandi, sono state ampiamente distrutte in tanti quartieri. C'è gente che è ancora rifugiata nella metro. Si osserva cosa accade nelle zone in cui l'esercito russo ha completato il ritiro. Civili per strada morti con le mani legate dietro. A Bucha i testimoni parlano di corpi di donne nude pronti per essere bruciati, evidentemente erano state violate. Bambini colpiti da arma da fuoco a bruciapelo, alla testa. I militari hanno derubato le case, svuotandole di tutto, lavastoviglie, cabine doccia, bagni. La guerra ha un volto feroce».
Cosa si può fare?
«Pregare, pregare, pregare. Stavolta serve davvero l'aiuto di Dio».
 

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