Padre Guglielmo, il francescano delle Terre di Mezzo tra il Poverello e Tolkien

Padre Guglielmo, il francescano delle Terre di Mezzo tra il Poverello e Tolkien
di Federica Menghinella
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Giovedì 5 Agosto 2021, 12:00 - Ultimo aggiornamento: 14:35

Ha scritto un libro intitolato ‘Tra san Francesco e Tolkien’ ed è un’autorità fra gli studiosi del settore che lo chiamano “Gandalf il grigio”: intervista a padre Guglielmo Spirito, sacerdote francescano docente di Teologia che da anni approfondisce le radici spirituali dell'opera di Tolkien. All’autore de ‘Il signore degli anelli’ il Meeting di Rimini dedicherà la grande mostra Tree of Tales dal 20 al 25 agosto.
Padre Guglielmo i tolkeniani di tutto il mondo la chiamano Gandalf. Si ritrova nel personaggio de ‘Il Grigio’?
È un enorme immeritato complimento! L’abbinamento deve essere nato dai primi raduni tolkeniani a Tolmezzo, terra di fiabe, per il mio abito grigio e lungo. Talvolta nei raduni alcuni si presentano in costume; a me chiedevano da cosa fossi vestito e rispondevo: “mi spiace, son vestito da me!”. La cosa si è ripetuta in Germania, Regno Unito, Francia, Polonia, Spagna. Il mio tratto più somigliante a Gandalf è che ho poca pazienza. Non fumo la pipa ma so apprezzare come lui la buona birra.
Quando ha cominciato ad interessarsi a Tolkien?
Un giorno nella Basilica di San Francesco ad Assisi entrò un giovane a confessarsi: aveva un disegno di Gandalf sulla maglietta. Gli domandai chi fosse quel personaggio e mi parlò di Tolkien. Mostrai a lui e ai suoi amici il Sacro Convento. Rimasero così scioccati dal fatto che non avessi letto ‘Il signore degli anelli’ che la settimana successiva mi fu recapitato in dono un enorme pacco per posta: una vecchia edizione di Rusconi. Ero totalmente scoraggiato per la mole del volume ma non potevo non leggerlo: i ragazzi mi avrebbero domandato. Ho cominciato a leggerlo forzandomi e non sono più riuscito a smettere. Iniziative tolkeniane in Italia, incontri e poi una conferenza in lingua originale nel 2006 all’Exter College di Oxford (dove Tolkien aveva studiato) che è stata fondamentale. Ho stabilito lì una serie di rapporti di amicizia con appassionati e studiosi di ogni parte d’Europa e con la figlia di Tolkien, Priscilla. Con lei ho mantenuto una corrispondenza stretta in questi ultimi 17 anni.
Invitandola ad Assisi. Tolkien aveva un rapporto speciale con la città.
Avevo letto stralci di lettere in cui parlava di un viaggio fatto qui insieme alla figlia nell'agosto del ’55. Invitai Priscilla a tornare. Venne con un’amica qualche mese dopo; insieme abbiamo visitato tutti i luoghi che vide con il padre. Alloggiavano al monastero delle clarisse francesi di Santa Colette. Priscilla ha ricordato tanti aneddoti della vacanza assisana: la partecipazione alla vita liturgica a San Francesco, a San Pietro, le visite a San Damiano, alla Rocca. La partecipazione alla festa di Santa Chiara. Mi fa molto riflettere che in quel viaggio visitarono accuratamente Venezia e Assisi, con una sosta a Firenze senza andare a Roma: credo sia significativo. A Tolkien ‘bastò’ Assisi per nutrirsi, per nutrire le radici della sua fede cattolica.
In ‘Tra San Francesco e Tolkien’ analizza la relazione fra la spiritualità francescana e il messaggio tolkeniano. Su cosa si fonda?
In uno dei capitoli parlo di Tom Bombadil, personaggio più affine allo stile francescano per il rapporto con il Creato, con la natura, per il rispetto delle creature, la giocosità, l’umiltà, la non possessività, l’assenza di desiderio di controllo o potere. Tratti ben riconoscibili come francescani, ma non credo sia qualcosa di voluto da Tolkien. Sebbene egli amasse molto il saggio di Gilbert Keith Chesterton su San Francesco - e nel ‘55 avesse apprezzato particolarmente il ciclo di affreschi della Basilica - a quel tempo il libro era già scritto; anche se sappiamo che mentre era ad Assisi gli arrivò qualche bozza dell’ultima parte della Trilogia.
Nella concezione della Natura quale parallelo è possibile?
La percezione di un amore per le creature come un riverbero dello splendore del Creatore, tipico in San Francesco, si vede in tutta l’opera subcreativa di Tolkien; secondo la sua definizione l’artista è un subcreatore. Il godimento gratuito per lo splendore per il creato c’è in Tolkien, che del resto amava particolarmente gli alberi e il mondo vegetale.
Lei è argentino di Buenos Aires come Papa Francesco, estimatore di Tolkien. Ne ha mai parlato con lui?
Non di questo in particolare. So che con amici comuni ne ha parlato in momenti più recenti; ricordo che mentre era cardinale arcivescovo per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’università cattolica di Buenos Aires ha usato mirabilmente la figura del viaggio di Frodo per la distruzione dell’anello. Con l’acume che gli è proprio nel citare le opere letterarie da lui amate, ha collocato la figura di Frodo incastonata in un mosaico come nei grandi cicli epici e questo permette di recuperare per i giovani un grande immaginario, il linguaggio del mito. Non a caso Bergoglio era amico di Borges.
Tolkien ha creato un legendarium di dimensioni paragonabili a quelle di una cosmogonia antica. 
Questo fu uno dei temi di conversazione del gruppo di Oxford composto da C.S. Lewis, Dyson, Mac Donald e altri. L’Inghilterra non ha una mitologia propria. Questo gruppo di amici e intellettuali era interessato alla questione del mito norreno, nordico. Tutti erano assai ferrati nel mondo classico: leggevano e scrivevano fluentemente il greco antico. Un set mentale straordinariamente arricchito dalla letteratura ellenica, latina, islandese, anglosassone, celtica, germanica. Fili d’argento che entrano nel tessuto dei racconti ri-processati in una maniera subcreativa originale e con una capacità di diversi livelli di linguaggio. Non dimentichiamo che la vocazione primordiale - e la professione - di Tolkien era la filologia. Lui intesse le lingue e attraverso le lingue intesse mondi.
Fra gli infiniti talenti di Tolkien c’è l’invenzione di nuovi linguaggi. Che valore assume oggi questa eredità?
Come nel periodo del nominalismo, in cui la metafisica è stata polverizzata e i concetti e le parole erano etichette o contenitori vuoti, adesso c’è quello che i latini definivano flatus vocis: un rimbombare di suoni che non rimandano a sostanze o realtà concrete. Una logorrea sganciata dalla vita, dal reale. Un tentativo di attutire l’angoscia, riempiendo l’aria di suoni. Non c’è una rete di contenuti, né volti che si incontrano attraverso le voci. Quindi il recupero della capacità narrativa, della pregnanza della parola, delle radici immaginifiche e della linfa vitale del linguaggio riconcilierebbe con il reale. Il Papa alludeva a questo nel messaggio dello scorso anno per la giornata delle comunicazioni sociali. La narrativa, la poesia, le fiabe, i romanzi, i grandi racconti permettono all’uomo di sviluppare la propria condizione di essere a immagine del logos. Il mondo delle relazioni interpersonali passa attraverso la parola
Il mondo, come credeva Tolkien, ha ancora bisogno di miti?
Un bisogno drammaticamente urgente, ancor più di quanto ne potessero avere in quegli anni. A causa dello sfaldamento dei parametri della civiltà, con la banalizzazione della comunicazione, l’incremento smodato delle ‘cose’ empiriche, dell’utilitarismo che sembra l’atteggiamento di Saruman e dei suoi orchi: far “fruttare” le cose a proprio vantaggio, distruggendo l’habitat e le persone che vi abitano. Abbiamo bisogno di risanare l’immaginario, di essere capaci di ri-sognare, ri-percepire la realtà con occhi puliti, di togliere quell’opacità - dice Tolkien - “del trito, del deja vu o della possessività”. Le cose che non possono essere decodificate possono essere narrate. Il mito narra le origini delle cose altrimenti impossibili da spiegare. Mito non per sognare ad occhi aperti ma per raccontare la struttura delle cose e mostrare la drammaticità dell’esistenza; la ricchezza del reale.
È il saper condurre alla scoperta.
Si, perché è già tutto davanti a noi, occorre semplicemente riabituarsi a scoprire quello che è coperto da una coltre di cenere, di sabbia, di grigiore. Come nel linguaggio della mitologia Tolkeniana ci sono questi esseri oscuri che cercano continuamente di risucchiare verso la disperazione tutti i popoli liberi della terra di mezzo, ci sono anche - e sono molti di più - i personaggi luminosi che cercano di risanare ciò che è stato contaminato, ripristinando una bellezza primigenia cui tutte le cose sono state destinate sin dal momento in cui sono state create. La narrazione del mito conduce a questo.
Al Meeting di Rimini 2021 la mostra Tree of Tales; ha collaborato nel comitato scientifico internazionale. Qualche anticipazione?
Potrebbe certo rispondere in modo più completo di me il coordinatore Beppe Pizzini, docente all’università di Oxford.

L’intento è sinora inedito: mostrare tutta la ricchezza dell’opera di Tolkien a partire dalla sua vita, dalle sue opere e attraverso i tanti percorsi che nascono dai suoi scritti e dai suoi personaggi. Non un semplice itinerario museologico (anche se ci saranno molti documenti e oggetti di notevole importanza) ma la presentazione della potenza dell’intuizione subcreacitva dell’autore, aiutando i visitatori a gustare “dal di dentro” il mondo subcreato di Tolkien. Il comitato internazionale coinvolge moltissime nazioni: Regno Unito, Francia, Germania, Polonia, Spagna, Stati Uniti e persino l’Iran. Essere tridimensionali sulla ricchezza della persona e l’opera di Tolkien includendo la sua identità profonda e le sue convinzioni, senza tagliare nulla del suo essere: nessuna grande mostra internazionale ha mai avuto un intento del genere.

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