Omicidio Polizzi, Valerio
nascosto nell'armadio di Julia

Omicidio Polizzi, Valerio nascosto nell'armadio di Julia
di Egle Priolo
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Venerdì 3 Ottobre 2014, 14:27 - Ultimo aggiornamento: 14:30
PERUGIA - Ti prego, non mi ammazzare. Sta rannicchiata a terra, Julia. Stretta tra un muro e la porta chiusa. Al buio, mentre un'ombra la colpisce in testa con qualcosa di ferro.

«Ti prego, non mi ammazzare». Le mani a riparare la testa, mentre dal polso scende il sangue della ferita da arma da fuoco. Perché l'ombra, prima delle botte, ha sparato. Ha colpito il suo fidanzato che ora è al di là della porta e lei lo crede svenuto. L'ombra si ferma e sembra cercare qualcosa. Lei ne vede solo i contorni per la luce che viene da fuori, mentre gattona in mezzo al sangue per trovare riparo. Poi l'ombra esce. Supera il corpo inerme del fidanzato e scappa per le scale, mentre iniziano a salire i vicini allertati dal rumore. Julia abbraccia Alessandro, il suo ragazzo. Lo crede svenuto e chiama il 118. Sono le 3 e un quarto del 26 marzo: saprà che il suo amore è morto per quel colpo di pistola solo per caso e tra diverse ore. E l'ombra è Riccardo Menenti, accusato dai pm Duchini e Miliani insieme al figlio Valerio. L'ex violento che entrò di nascosto in casa di Julia e le puntò un coltello alla gola. E dopo, è il suo racconto, «chiese a tre stranieri di uccidere Alessandro».



Violenza per rispondere alla violenza. In quattro ore, una coraggiosa Julia Tosti ha raccontato cosa successe nella casa di via Ricci la notte tra il 25 e il 26 marzo 2013. Quando Alessandro Polizzi, il principe azzurro che la difendeva dall'ex violento mandandolo in ospedale, morì per un colpo di pistola. A sparare, Riccardo Menenti, il padre dell'ex fidanzato che rispose con quel raid per riparare alla violenza scattata per la violenza. Perché di questo si tratta. L'ex che picchia e minaccia, il nuovo ragazzo che lo pesta per tre volte e il padre del primo che vuole dare una lezione al secondo. Sarà la Corte d'assise a stabilire se Riccardo voleva uccidere o solo spaventare, se la pistola era sua o era armato solo di un piede di porco, se le chiavi di casa gliela aveva date il figlio o se il portone era aperto. Ma ieri Julia, la sopravvissuta, ha raccontato la sua verità. «Stavamo dormendo appiccicati, io addormentata sulla spalla di Alessandro. Mi hanno svegliato due botte dalla porta. Alessandro ha fatto appena in tempo a mettersi seduto che ho sentito lo sparo. C'era odore di fuochi d'artificio e nella stanza un'ombra in piedi. Non parlava e ci colpiva. Alessandro si è alzato, l'ha portato fuori dalla stanza. C'è stata una colluttazione, poi lui è caduto e l'ombra è tornata verso di me. Ha chiuso la porta e ha iniziato a colpirmi. Io gattonavo per terra e cercavo di ripararmi, urlando di non uccidermi». Poi l'ombra esce, arrivano i vicini, la polizia e infine l'ambulanza. Alessandro, 24 anni, è a terra e lo porteranno via solo in una bara. Julia ha il tempo solo di vedere una pistola, sotto il mobiletto del telefono all'ingresso. Era questo che l'uomo che voleva dare una lezione stava cercando? La difesa (Manuela Lupo per Valerio, Giuseppe Tiraboschi per Riccardo e Francesco Mattiangeli per entrambi) è convinta di no, che la pistola non fosse del padre preoccupato per le botte subite dal figlio. Julia, invece, in quattro ore ha già messo in controluce le teorie difensive. Abbattendole. La pistola l'ha portata l'assassino, che ha sparato appena entrato in casa. E l'arma sarebbe quella con cui l'ex minacciava di uccidersi se lei lo avesse lasciato: «Mi sparo con la Beretta che mi ha dato nonno». Le chiavi del portone Valerio (che aveva convissuto con lei nella stessa casa) non gliela aveva mai restituite. E, ancora, non era la prima volta che un Menenti entrava in casa sua con un'arma. «Una sera, dopo la prima aggressione di Alessandro a Valerio e l'ennesima litigata, sono tornata a casa e mi sono messa a letto. Appena ho poggiato la testa sul cuscino, ho sentito qualcosa di freddo alla gola. Era un coltello. Un coltello con cui Valerio mi stava minacciando se l'avessi lasciato. Dopo le botte, era tornato a casa mia e si era nascosto nell'armadio». Julia sconfessa così anche la tesi delle chiavi, unico elemento concreto che unisce l'azione di Riccardo alla volontà di Valerio, rendendolo quindi complice. Il ragionamento della sopravvissuta e della procura è questo: Valerio dimostra con quell'episodio di avere ancora le chiavi, che ha dato al padre, magari proprio il 25 marzo in ospedale. Complice e non solo figlio da difendere. La battaglia in aula è tutta su questo.



Valerio: tutte bugie. «Ho sentito tante cose non vere. Le chiariremo tutte. Ma intanto voglio dire subito che io non ho rubato nè oro nè soldi in casa di Julia. Fu lei a sottrarli per pagare debiti di droga, il padre se ne accorse dopo un mese e mezzo che stavamo insieme e sua madre ci restò malissimo perché tra quelle cose c'erano ricordi di famiglia». Decide di parlare per la prima volta, Valerio Menenti, dopo le quattro ore di testimonianza di Julia. Che lo ha accusato di usare droga «tutti i giorni e parecchia», che ha lasciato intendere che lui abbia rubato in casa sua e che ha raccontato anche delle condoglianze ricevute «da tre stranieri che hanno detto di aver ricevuto da Valerio l'offerta di denaro per fare ad Alessandro quello che poi è successo».

Valerio, camicia bianca e gilet da primo banco, non ci sta a vedersi infangare così e smentisce quello che Julia non può provare. «In ospedale, io non ho minacciato nessuno. Ho anche la registrazione. Fu lei a minacciare me di denunciarmi per le botte se io avessi denunciato Alessandro per le tre aggressioni». Valerio non ci sta e in quelle quattro ore puntualizza ogni frase di Julia al suo avvocato. Mentre il padre sembra imperturbabile e annuisce solo ai racconti dei «calci e dei pugni» subiti dal figlio per mano di Alessandro, Valerio scalpita. E quando Julia racconta del suo uso di droga, di come lui l'avrebbe iniziata a sniffare cocaina, dei suoi debiti con gli spacciatori Jimmy e Benny, il ragazzo sbuffa e sbatte i pugni sul tavolo. Tanto da essere ripreso delle guardie penitenziarie.

Il suo obiettivo è chiaro: screditare Julia, renderla un testimone inattendibile e screditandola anche facendole raccontare di aver detto ai suoi genitori di essere stata promossa per poter andare in vacanza con lui, mentre invece gli esami di maturità erano andati male e i professori l'avevano bocciata. «Mi hanno bocciato perché la sera prima dell'esame lui mi ha rotto il computer su cui c'era la mia tesina e la presentazione in Power point per l'orale», dice lei.



«Muoriamo insieme». Sottolineando il carattere violento di lui, le minacce e la follia sfociata in un incendio in casa. «Lo volevo lasciare, lui mi ha lanciato addosso una bottiglia di alcol disinfettante che si è rotta per terra - ha raccontato -. A quel punto ha detto: Mi lasci, allora muoriamo insieme. Ha lanciato un accendino e ha preso fuoco il mio materasso: per salvarmi l'ho buttato dalla finestra».
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