Rizzitelli, ex Bayern: «In Germania credono nei giovani. Non c'è la "fenomenite"»

Rizzitelli, ex Bayern: «In Germania credono nei giovani. Non c'è la "fenomenite"»
di Alessandro Angeloni
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Martedì 25 Agosto 2020, 07:30
Ruggiero Rizzitelli, una finale europea l’ha giocata. Nel 1991, quando il calcio italiano era un punto di riferimento per tutti. «Eravamo una bella vetrina», dice lui. Ruggiero Rizzitelli ha anche vissuto il Bayern, quando la Bundesliga non era all’altezza di quella che vediamo ora. «Ma il calcio in Germania era solido anche all’epoca», sottolinea ancora lui. 
Qual è il segreto del Bayern?
«E’ il segreto del calcio tedesco: spendere bene, gli stadi, avere una politica oculata, scegliere i giocatori. Giovani, poi coraggio. E poi, cercare di mantenere intatta la tradizione».
La tradizione in un calcio così globale?
«Certo. Bisogna essere se stessi. Ogni paese ha un modo di giocare, una mentalità. Non esistono i geni, quelli che fanno le rivoluzioni, il calcio è tema semplice. Prendiamo il Bayern: ha fatto il triplete con due allenatori tedeschi. Qualcosa vorrà dire, no?».
Beh, Mourinho ha centrato il triplete con l’Inter. Lui è portoghese.
«E’ un’eccezione. Guardi anche Ranieri con il Leicester. Miracoli. E’ questo è il bello, altrimenti vincerebbero sempre gli stessi».
Le rivoluzioni si fanno in casa.
«Proprio così. In Germania, a un certo punto, il Governo ha dato soldi ai club, imponendo di spendere per i settori giovanili. Così è rinato il calcio tedesco. Trapattoni dopo aver fallito, ha capito che doveva adeguarsi a quella mentalità. Quando il Bayern lo ha richiamato dopo l’esperienza negativa di Cagliari, lui ha reimposto il lavoro in maniera diversa, calandosi nella mentalità tedesca e non cercare di portare la sua. E ha vinto». 
Quindi non basta il denaro.
«E’ fondamentale. Ma serve che i nostri dirigenti, oltre che a parlare e promettere grandi cambiamenti, pensino ai fatti. Dici una cosa, falla. Invece si predica bene e si razzola male».
La politica del Psg è fallimentare. 
«Più di un miliardo spesi, vittorie solo in Francia. Di che parliamo? Non si vince solo con i fenomeni».
L’Italia è indietro rispetto a tutto questo.
«Appunto: si parla ma non si agisce. E stiamo lì a inseguire. Dobbiamo puntare sulle nostre radici. Servono idee e coraggio».
Diceva di tornare a essere se stessi.
«Ma certo. Oggi imitiamo gli altri. Tutti a guardare il calcio di Guardiola. Ma anche lui, a livello internazionale è riuscito a vincere con il Barcellona. Quella era la sua casa, conosceva ogni angolo e segreto. E’ riuscito a costruire una squadra formidabile. Qualche difficoltà in più in campo internazionale». 
Anche Sarri è andato male, pure la Juve è un po’ come il Psg.
«Si è visto subito: un progetto che non ha funzionato. Lo scudetto vinto con difficoltà, la Champions andata via in quel modo».
Per vincere in Europa che tipo di calcio dobbiamo applicare?
«Mah, io non vedo cose particolari. Gli allenatori devono solo fare meno danni possibili». 
Conte ha fallito secondo lei?
«Non penso. Forse in campionato poteva provare a vincere lo scudetto contro una Juve non eccezionale. Lui paga il fatto di non essere simpatico, si fa voler male dall’ambiente. In fondo ha chiuso con due secondi posti». 
Le è piaciuta la formula delle Final Eight?
«Si, interessante. Come abbiamo visto, con partite secche può succedere di tutto, vedi Lione che batte il City, vedi il Lipsia. Ma stia certo, non la rivedremo».
Si, eh.
«Si incassa meno. Due partite, meglio che una».
Chiaro. E gli stadi vuoti?
«Dobbiamo convivere col virus, ok. Ecco, io con gli stadi chiusi non ci voglio convivere. A parte la tristezza che traspare, ma poi condizionano gioco e risultati».
Condizionano?
«Sì, nessuno mi toglie dalla testa che l’exploit del Milan in campionato sia dipeso da questo. Magari ci sono molti calciatori che soffrono le pressioni e senza pubblico hanno dato di più».
Veniamo alla Roma. Che aria tira con la nuova proprietà?
«Intanto mi pare ci sia un presidente-proprietario che, per ora almeno, non straparla, non dice vinciamo questo o quello. Poi, bisogna aspettare. Siamo all’inizio, diamogli tempo».
Qual è stato il più grande errore di Pallotta.
«Il non essere presente a Roma. Non si accorgeva della gente, dell’umore. Questa è una città che va vissuta, sa darti tanto».
Allora non è un ambiente maledetto?
«Non scherziamo. Le pressioni sono ovunque, il problema vero è l’indifferenza. Ma può essere un problema il tifoso che si lamenta perché è tanto che non vince? Gli rode, è normale. Maldini, bandiera del Milan, è stato insultato dai suoi tifosi dopo una sconfitta nella finale di Champions; a Torino se ti permetti di arrivare secondo ti criticano. E’ ovunque così».
Le piace Fonseca?
«Mi piace, è stato bravo a cambiare sistema di gioco. Poi, ha commesso i suoi errori». 
Scelga un tecnico per la Roma.
«Ancelotti. Carletto ha tutto: è un vincente, ha esperienza, conosce bene l’ambiente».
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