La Francia ha colpito nel centro: Clairefontaine, dove è rinato il talento dei Bleus

La Francia ha colpito nel centro: Clairefontaine, dove è rinato il talento dei Bleus
di Benedetto Saccà
5 Minuti di Lettura
Domenica 6 Luglio 2014, 12:54 - Ultimo aggiornamento: 7 Luglio, 17:02
La chiave della rinascita, anzi, della rivoluzione francese custodita a 57 chilometri dalla Torre Eiffel.







Lassù la Fff, la federcalcio bleu, ha stabilito il proprio quartier generale oltre 26 anni fa: a Clairefontaine-en-Yvelines per la precisione, nella foresta di Rambouillet, 22 mila ettari di verde. Del resto, tutto si può dire dei francesi tranne che non sappiano indovinare il futuro e anticiparne le mosse. Si chiama lungimiranza. Nel 1976, dunque, il presidente federale Fernand Sastre decise di dotare il Paese di una serie di centri tecnici: e affidò il progetto all’ex ct dei Bleus, Stefan Kovacs, l’allenatore romeno che fra l’altro aveva accompagnato l’Ajax di Cruyff sulla vetta del mondo. Kovacs cominciò a lavorare e si lasciò ispirare dal genere di strutture che erano state costruite in Romania dal regime comunista. La cittadella di Clairefontaine è stata inaugurata così nel 1988. E, ancora oggi, è il cuore pulsante del calcio dei nostri cugini transalpini.



GLI ALTRI CENTRI

La Fff non si è fermata però al primo successo. All’opposto, ha continuato a sviluppare l’idea di tessere una tela di centri «d’élite», innervando l’intero territorio. Ecco allora uno sfilare di altri dodici impianti, strategicamente basati ad Ajaccio, Castelmaurou, Chateauroux, Lievin, Digione, Marsiglia, Ploufragan, Vichy, Reims, Essey-les-Nancy, Saint-Sebastien-sur-Loire e a Talence. E non basta. I vertici federali, previdenti e, si diceva, lungimiranti, hanno deciso di aprire un paio di strutture anche in due «dipartimenti francesi d’oltremare»: ovvero nella Guadalupa, Caraibi, e a La Reunion, oceano Indiano.



BLACK, BLANC, BEUR

L’integrazione, d’altronde, è sempre stata una ricchezza della Francia e della nazionale bleu. Non è un caso che la squadra capace di conquistare il Mondiale casalingo del ‘98 è tuttora soprannominata «black, blanc, beur», nera, bianca e araba: Zidane, ad esempio, ha origini algerine, Thuram è nato nella Guadalupa, Karembeu nella Nuova Caledonia, Desailly in Ghana e Vieira in Senegal. Tutti laureatisi campioni del mondo a Parigi il 12 luglio del 1998. Certo i problemi non sono mancati, specie dopo la fallimentare avventura vissuta nella Coppa del 2010. Tre anni fa, d’altra parte, i dirigenti della Fff hanno approvato in segreto delle quote «discriminatorie», che si volevano tese a limitare l’accesso dei calciatori di colore o arabi nei centri federali. Uno «straniero» ogni tre francesi doc, si potrebbe dire. Una follia. Il ct Blanc ha dondolato a lungo sul filo delle dimissioni ma, in fondo, ha saputo mantenere l’equilibrio ed è approdato fino agli Europei del 2012.



24 MILIONI

Intanto la federazione non ha smesso di investire nella crescita: solo per avere un quadro, la Fff ha speso oltre 24 milioni di euro negli ultimi dieci anni per ampliare i centri tecnici. Ha selezionato i migliori allenatori del paese e ha consegnato loro i più promettenti talenti francesi, ragazzi dall’avvenire tutto da scriversi. In Italia, giusto per raffrontare gli scenari, la Lega nazionale dilettanti ha finalmente autorizzato la costruzione di venti centri di formazione, a dispetto dei fondi disponibili, quantificabili oggi in circa cinque milioni annui. Se non altro ogni regione avrà una fonte cui attingere. La Francia ha tracciato il solco: la capillarità dei vivai, la preparazioni dei tecnici e il denaro. Il futuro, adesso, è dipinto di bleu.



IL CT

Didier Deschamps ha compiuto senz’altro un ottimo lavoro. Ha ricevuto le redini della Francia nel 2012, ha rinnovato la rosa, ha esentato i giocatori più facinorosi e ha accompagnato la squadra lungo il cammino di un’identità. Al di là dell’eliminazione subìta contro la Germania, la Francia oggi è una nazionale: e, dunque, Deschamps ha saputo di certo toccare i tasti giusti. Fra i ct francesi degli ultimi 40 anni, Didier è però appena il terzo che esibisce una matrice non prettamente federale. Del resto è arrivato dal Marsiglia, un club, al pari dell’immediato predecessore Blanc, proveniente dal Bordeaux. Un’inversione netta e recente della tendenza, è evidente, visto che i dirigenti della Fff in passato avevano estratto il nome del selezionatore soltanto dal bussolotto degli uomini di federazione. Nell’ordine, prima di diventare ct della Francia, Hidalgo, anni Settanta e Ottanta, era già all’interno dei quadri della Fff; Michel aveva allenato l’Under 21 dei Bleus; Platini era Platini, il miglior calciatore francese della storia; Houllier era stato il vice di Platini e, a seguire, sarebbe stato il ct dell’Under 18 e dell’Under 20 transalpine; Jacquet, campione del mondo nel ‘98, era stato il direttore tecnico della federazione; Lemerre era stato il vice di Jacquet; e Domenech aveva guidato l’Under 21. Solo Santini, ct fra il 2002 e il 2004, non aveva un’estrazione federale: l’eccezione che confermava la regola. Sbriciolata poi da Deschamps. Ecco insomma cosa significa rischiare e innovare.



I TALENTI

Solo i bambini francesi che risiedono nelle regioni dell’Ile-de-France e dell’Alta Normandia possono accedere al centro tecnico di Clairefontaine, intitolato a Fernand Sastre. Viceversa gli altri devono rivolgersi alle strutture federali disseminate in tutto il Paese: sono lì apposta, del resto, per evitare spostamenti smisurati ai ragazzi, per consentir loro di essere sempre vicino a casa. A Clairefontaine, nel 2000, arrivò un ragazzo con le carte in regola: aveva 13 anni appena, il limite minimo per entrare nel centro, era nato e viveva a Courcouronnes, nell’Ile-de-France, e aveva il papà marocchino e la mamma algerina. Si chiamava Mehdi Benatia. Sì, era proprio l’attuale difensore della Roma. E aveva già una gran desiderio di stupire il mondo.



SUPER CENTRO

La struttura di Clairefontaine è un inno alla modernità: si estende su un’area di 56 ettari e comprende otto campi, 16 spogliatoi, tecnologie, palestre, studi medici e psicologici, piste d’atletica, campi da tennis, saune, piscine, ristoranti, appartamenti per i giocatori e i tecnici e chi più ne, ha più ne metta. I ragazzi, di fatto, vivono immersi nel pallone: frequentano il College Catherine de Vivonne di Rambouilet, distante solo pochi chilometri, e il liceo Louis Bascan di Rambouillet. Ogni energia della federazione è spesa per accompagnare i ragazzi lungo il sentiero della crescita. E tanti sono stati finora i bambini diventati calciatori professionisti a Clairefontaine. Anelka, ad esempio, oppure Bassong, Ben Arfa, Diaby, Gallas, Henry, Matuidi, Meghni, Rothen, Saha, Christanval e l’ex romanista Faty, ora all’Ajaccio. Una parata di stelle che ha spiccato il volo alla periferia di Parigi ed è planata sulle vette del mondo. La bontà del lavoro si riflette naturalmente nei risultati raccolti: e il Mondiale Under 20 vinto dalla Francia di Pogba appena un anno fa è stato di certo un indicatore significativo. Il direttore di Clairefontaine, Eric Latronico, può insomma essere soddisfatto. Avanti i prossimi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA