La pallavolo azzurra piange Pasinato, leader della "Generazione di Fenomeni"

foto sito Federvolley
di Piero Mei
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Venerdì 9 Aprile 2021, 07:35

Lo chiamavano “Paso”: era un campione. Per il Grande Libro dello sport, di pallavolo. Per chi lo ha conosciuto, di umanità. Nome e cognome: Michele Pasinato. Aveva compiuto 52 anni da meno di un mese, il 13 marzo. Da qualche mese in più lo uccideva un “brutto male”, come si diceva una volta. L’altra sera aveva accanto a sé, a Padova, di dov’era, sua moglie Silvia, la “morosa” con cui stava fin da ragazzo, i due figlio, Giorgio ed Edoardo, ai quali, con la vita, aveva anche dato l’amore per il volley: ci giocano e li allenava lui, un secondo mestiere. Ha detto: «Sono stanco». Nessuno glielo aveva mai sentito dire, in quegli anni meravigliosi per la pallavolo azzurra, gli Anni Novanta, nei quali intorno a Julio Velasco venne su, conquistando cuori e trofei, la “Generazione di Fenomeni”. “Paso” era uno di loro. Né il più mediatico, né il più forte, né il titolarissimo. Ma quando gli toccava faceva la sua parte e anche quella di qualcun altro. Giocava da opposto schiacciatore. Aveva un fisico “da paura”, 1 metro e 96 per 84 chili, in linea con la mutazione che stava prendendo piede e campo in quegli anni. In più, ci metteva una faccia intagliata nel legno, capace di intimorire solo a vederlo. 
PLANARE
Tanto più che aveva una corsa, e dunque una rincorsa al posto dove planava il pallone, forse scoordinata, forse alla Hulk, che non avresti saputo dove sarebbe andato a parare e colpire: lo fece, andando a punto, 7.031 volte (record) nella regular season del nostro campionato, «il più bello del mondo». Oltre la regular season, nei giorni dei playoff, ha potuto colpire di meno: ha giocato lungamente per la squadra della sua Padova, che non era una formazione di prima schiera e dunque le occasioni dei playoff non lo portavano lontano. Ha giocato anche a Montichiari ed a Roma. Che dopo Padova fu nel suo cuore. 
IL LATO ITALIA
Di azzurro si è vestito 256 volte. Anche a quelle Olimpiadi del rimpianto che furono i Giochi di Barcellona ’92, quando l’Italia del volley opponeva il suo “Dream Team” a quello più mediatico, il primo, l’originale del basket Usa, quello in cui Michael Jordan sbandierò un bandierone sulla spalla per coprire il logo dello sponsor che era il rivale del suo sponsor personale. Niente rimpianti, invece, per “Paso” e per la “Generazione di Fenomeni” al mondiale che con lui in campo l’Italia vinse a Tokyo ’98, agli Europei che vinse due volte, alla World League che vinse sei volte! E chissà quanto fu orgoglioso di una cosa più piccola e più grande insieme: la Coppa Cev che vinse con Padova. 
IL CARATTERE
Era schivo, taciturno, passava per “musone”.

Per divertimento, a prova di Ercole, spingeva il dito che aveva enorme e fortissimo, contro il petto di chi voleva sentire il ferro. Ti lasciava forse un livido, certamente un sorriso. Il tuo e il suo. E si allontanava caracollando. Ti aveva detto così che gli andavi a genio: non c’era bisogno di parole. Quelle le teneva per gli affetti e gli amori, le schiacciate per gli avversari. 

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