Anni Ottanta, felici e maledetti: da Freddie Mercury a Whitney Houston, la corsa all'autodistruzione

Anni Ottanta, felici e maledetti: da Freddie Mercury a Whitney Houston, la corsa all'autodistruzione
di Marco Molendini
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Martedì 27 Dicembre 2016, 08:41 - Ultimo aggiornamento: 10:30

Maledetti anni felici, verniciati di edonismo e spensieratezza, suonati in canzoncine leggere fatte per ballare, popolate da idoli di carta. Popolati da gente fragile, uccisa dalla fama (così ha detto ieri di George Michael un esperto nell'autodistruzione come Keith Richards) o segnata indelebilmente dal successo. Gente come il bel ragazzo di origine greca che se ne è andato sotto l'albero di Natale o come la bellissima Whitney Houston, voce capace di arrivare fino alle stelle, che si è avvolta nei fumi del crack ed è volata in cielo dentro una vasca da bagno a neanche cinquant'anni.

I felici anni 80 del re del pop Michael Jackson, che con il suo Thriller ha travolto l'industria musicale prima di travolgere se stesso in una spirale di follia esistenziale passata dalle accuse di pedofilia al sonno finale con un sonnifero che era un anestetico. Una fine molto simile a quella di un altro re, anzi un principe che ha conquistato il suo trono color porpora in quel decennio, Roger Nelson Prince: nessuno sospettava che la sua vita fosse intrappolata dagli eccessi dei farmaci fino a quel punto, anche se (a cominciare da quella casa fortezza di Paisley Park) erano componente nota della sua vita. Ma, in fondo, anche il successo è un eccesso. Facile allora, una volta che si è entrati in quel gorgo, finirne risucchiati e non riuscire a risalirne più. Ha ragione quel vecchiaccio di Keith Richards che, nonostante tutto, è arrivato a 73 anni (li ha fatti dieci giorni fa) driblando i rischi mortali della dipendenza (e quel suo epitaffio su George Michael, definito morto di fama, è una paradossale rivendicazione che sembra voler dire che la celebrità è peggio della droga. Opinioni).

Ma la via del successo ai tempi dell'edonismo è lastricata anche di sopravvissuti: cosa altro è Boy George, breve eroe degli anni 80 con i suoi Culture club e la sua Do you want to really hurt me? con il suo look strabiliante, vittima anche lui della depressione da fama evaporata e della consolazione fatta di eroina e cocaina e, poi, anche di carcere. Pure Robbie Williams frontman dei Take That, altri pop idol trionfatori nel decennio 80, è passato attraverso una strada spalmata di eroina, acido, cocaina, alcol, eccitanti, calmanti, depressione. Williams è riuscito a salvare alla grande la sua carriera che continua ad andare a gonfie vele: qualche tempo fa, in un'intervista a un giornale britannico, ha raccontato di non voler più sentire parlare di cocaina e alcol.

SALUTISTA
E' rinsavito, più o meno, visto che ha aggiunto di essere sempre tentato dall'ecstasy. Insomma, non si può dire che sia diventato un perfetto salutista. Più in linea con la tradizione del rock maledetto è la storia di Kurt Cobain, vittima dell'eroina e di una pressione mediatica extralarge, ma che con la lacerante cupezza dei suoi Nirvana non apparteneva in alcun modo a quella dote di spensieratezza che ha caratterizzato gli anni 80, soprattutto la prima metà, ma annunciava il ritorno di un malessere esistenziale antico che ha le sue radici nella cultura del rock e che è segnata da un calvario di vite spezzate: partendo da Elvis e passando per la lunga lista di star logorate da un sistema autolesionista che ha continuato a replicarsi fino alla povera Amy Winehouse, star per una sola stagione che fece solo in tempo a toccare il successo prima di finire inghiottita nell'euforia della sua vita di ragazza di talento incapace di gestire lo tsunami della pubblica notorietà.
 
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