Prog, Phil Collins si racconta dai Genesis in poi: «Ecco la mia prima canzone scritta a 15 anni»

La copertina di Prog 6
di Enzo Vitale
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Lunedì 16 Maggio 2016, 13:45 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 09:26
«La mia prima canzone? Si intitolava Lying, Crying, Dying ed era in re minore, la tonalità più triste in assoluto Una ballata molto intensa. Stiamo parlando della fine degli anni 60, quando avevo 15 o 16 anni. Poi non ho scritto più niente fino alla metà degli anni 70».

Phil Collins si racconta su Prog, la rivista bimestrale che ad ogni numero presenta una chicca. Ma stavolta le curiosità sul mondo della musica sono tante: oltre Phil Collins, parlano anche Alan Parsons, il mago dello studio di registrazione; Vittorio Nocenzi, leader del Banco del Mutuo Soccorso e
Paul Whitehead, disegnatore di tante copertine di Lp famose negli anni '70.

E così la rivista di musica Progressive diretta da Guido Bellachioma arriva al suo sesto numero e uscirà nelle edicole giovedì 19 maggio.
«Non ci credevo neppure io, ma ci siamo arrivati -commenta proprio Bellachioma-. Nel giugno 2015, quando è uscito Prog Italia, intravedevamo il numero 6 in fondo a un tunnel, lontano, così lontano. In questo numero, comunque, ci sono un po’ di cose interessanti, sospese tra vari momenti progressivi, sia stilistici che temporali. Alcune sono inserite all’interno di questa prima edizione del festival Close To The Moon (8/9 luglio a Piazzola sul Brenta, Padova), che solo per quest’anno è dedicata ai gruppi internazionali degli anni 70. La copertina  di questo numero -continua il direttore di Prog- è dedicata a una band che in Italia ha ancora una forte credibilità: Gentle Giant. Il gruppo dei fratelli Shulman, di Kerry Minnear, Gary Green. Una carriera spaccata in due, prima e dopo il trasferimento negli gli Stati Uniti… inutile dire che noi preferiamo la prima parte! Un augurio poi va a Gary Green che sta cercando di rimettersi in pista dopo il grave attacco di cuore di qualche mese fa, speriamo torni presto in pista coi suoi Three Friends (omaggio dichiarato al Gigante Gentile) e recuperi l’annullato tour europeo, che comprendeva anche l’Italia».

L'INTERVISTA A PHIL COLLINS

Dopo l'esperienza di quella canzone scritta da te, ti sei quindi fermato completamente?
«Sì. Ma sempre negli anni 60 avevo scritto una cosa che poi diventò Lilywhite Lilith, il pezzo che sta su The Lamb lies down on Broadway (1974, ultimo album dei Genesis con Peter Gabriel, ndr). Avevo anche buttato giù qualcosa di Why Should I Lend You Mine (When You’ve Broken Yours Off Already) dei Brand X. È singolare come questi spunti si siano concretizzati solo dopo parecchio tempo».

Era complicato entrare nel “circolo dei compositori” formato da Peter Gabriel, Tony Banks e Mike Rutherford?
«Be’, loro incarnavano lo spirito dei Genesis. Non pensavo neanche di essere un compositore all’epoca. Ma avevo comunque voce in capitolo su parecchie cose. La mia forza stava nell’arrangiamento dei brani».

Come mai?
«Mi piaceva molto la prima line up degli Yes, quella con Peter Banks alla chitarra. Mi ricordo che ammiravo il modo in cui avevano preso dei pezzi di altri artisti, come Something’s Coming da West Side Story o Every Little Thing dei Beatles, e li avevano completamente trasformati. Pensai: “Potrei fare qualcosa del genere”. Così portai quel tipo di approccio nei Genesis».....


ALAN PARSON: IL MIO RITORNO AGLI ABBEY ROAD STUDIO

Alan Parsons è il mago dello studio di registrazione. Quando lavorava nei celebri studi londinesi di Abbey Road, ha trasmesso un po’ della sua magia ad artisti come Pink Floyd, Al Stewart e i Beatles. Poi è uscito dallo studio e ha dato vita agli Alan Parsons Project. Ora che gli album degli APP stanno per essere ristampati in una nuova versione, racconta la sua incredibile carriera. Alan l’otto luglio parteciperà al Close To The Moon Festival, Piazzola sul Brenta/Padova.
Cosa hai provato a tornare sul luogo del delitto?
«È sempre emozionante tornare agli Abbey Road Studios… per me sono un posto sacro. Mi ha fatto molto piacere rivedere anche vecchi amici. Molte persone che lavoravano lì quando c’ero io ora non ci sono più, ma qualcuno è rimasto. Ad esempio Colette, la ragazza che si occupava delle prenotazioni, sta per andare in pensione. Non riesco a crederci. Quando sono arrivato era una bella ragazza appena ventenne. Intendiamoci, è bella anche adesso».

Chi è stato abbastanza fortunato da passare del tempo ad Abbey Road dice di percepire chiaramente un’aura particolare in tutto il complesso. Immagino che accada anche a te, e in modo ancora più profondo…
«Assolutamente. È una cosa che non passa mai. Anche quando lavoravo lì per 365 giorni l’anno (Parsons è stato vicepresidente del settore della EMI che si occupa della gestione degli studi di registrazione) ogni giorno non mi sembrava vero di poter stare là dentro, in un posto dove sono successe così tante cose».

Hai avuto paura che gli Abbey Road potessero essere venduti quando la EMI è passata alla Universal nel 2011?
«Sì, c’è stata un po’ di preoccupazione. A un certo punto si diceva che Andrew Lloyd Webber (il celebre compositore di musical di grande successo come Jesus Christ Superstar, Evita e Cats) stesse per acquistarli. Ma credo che ormai possiamo stare tranquilli. Questo posto è sacro».



PAUL WHITEHEAD, LA PITTURA E LA MUSICA

Con i suoi dipinti, negli anni 70 ha contribuito a dare forma all’immaginario di Peter Gabriel e dei Genesis, e alle pulsioni metafisiche di Peter Hammil e dei Van der Graaf Generator. Ha creato un ponte tra le arti per massimizzarne la percezione.

Negli anni Settanta la tua pittura era molto più surrealista e naif, mentre oggi sembri andare verso la ricerca di una tematica maggiormente negativa.
«Forse perché oggi il mondo è cambiato e la genuinità di un tempo non è che un ricordo… La politica degli anni Sessanta e Settanta ha cambiato il mondo: l’amore era in ogni cosa e la vita aveva un aspetto reale. C’erano le canzoni, gli amici… Ho vissuto quegli anni credendoci veramente. Eravamo seri, sapevamo che cos’era il sentimento. Negli Stati Uniti la nostra generazione stava emulando la lezione delle tartarughe, quella di saper aspettare. Avevamo venti, venticinque anni. Poi sono arrivati i soldi e l’interesse dei media. La società odierna è fondata soltanto sul business, ha preso le nostre idee e le ha svendute. I giovani nuotano insieme ai media, è una generazione che corre appresso all’immagine».

PAWN HEARTS dei Van Der Graaf Generator, NURSERY CRIME dei Genesis: sarebbe possibile fare oggi quelle copertine?
«So che i musicisti si confidavano con i pittori e, insieme, creavano vere e proprie opere d’arte. Il disco era una summa d’intenti, il lavoro finale di una moltitudine di artisti… Negli anni Sessanta e Settanta c’era una generazione perfetta di artisti e di musicisti. L’incisione di un disco era cosa molto costosa e, quindi, diventava un evento abbastanza raro. Oggi il marketing non ha più confini, è dovunque, anche su Internet. La qualità della musica è scesa pericolosamente perché una volta, prima di realizzare un disco, era necessario completare alcuni step.... Con i Genesis e con Le Orme ho “collaborato” realmente, la mia idea di artista doveva necessariamente sposarsi alla loro, come uno specchio. Il mio lavoro è quello di prendere la musica del mondo per farne immagini. Dipingo da molto tempo e dipingere è diventato il mio diario».

Quali tecniche utilizzi attualmente per dipingere?
«Olio su tela. Esclusivamente olio su tela. Le copertine degli album dei Van der Graaf Generator, ad esempio quella di PAWN HEARTS, erano realizzate con l’aerografo. Anche quella di FOOL’S MATE di Hamill. Ma ora non utilizzo più questa tecnica».

Che tipo di musica ascolti mentre dipingi?
«Qualsiasi. A volte accendo la radio, ma il più delle volte metto il mio iPod in riproduzione casuale… gli artisti che escono fuori più spesso sono Genesis e Pink Floyd».

GLI ALTRI CONTENUTI DI PROG  6

«Questo ultimo numero -spiega ancora Bellachioma- contiene anche la seconda puntata di Prog Strips, in cui Isabella Latini, dopo RIP del Banco, illustra Luglio, agosto, settembre (Nero) degli Area. E poi la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin, Geoffrey Richardson dei Caravan, Anna Holmgren degli Änglagård, i Gong di Daevid Allen, Ut New Trolls, Agorà, Bill Bruford e tanto altro ancora che si troverà all'interno di questa “creatura” patinata che continua ad esistere.  Il prossimo appuntamento? Sicuramente il 19 luglio con il numero 7 -conclude il direttore di Prog- con tantissime altre novità».

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