Procol Harum a Roma il 9 ottobre: «A Whiter Shade of Pale ci ha cambiato la vita»

Procol Harum a Roma il 9 ottobre: «A Whiter Shade of Pale ci ha cambiato la vita»
di Marco Molendini
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Mercoledì 30 Agosto 2017, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 13:19
«Per me resta un mistero: come è stato possibile che quella canzone sia venuta fuori con quella sua melodia e che abbia sfondato in modo così clamoroso dall'Europa, all'America, all'Africa. Insomma, dovunque»: cinquant'anni dopo Gary Brooker ancora si meraviglia del successo di A Whiter Shade of Pale. Il settanduenne fondatore dei mitici Procol Harum sta passando la sua estate in Francia, prima di ripartire per l'ennesima tournée, un viaggio importante perché festeggia la canzone che ha cambiato la sua vita di ragazzo ventiduenne: «Chiunque avrebbe sognato di avere quello che ho avuto io. A Whiter Shade of Pale è stata la chiave che ha aperto il mio futuro».

Dopo tanto tempo, tante storie raccontate su quel titolo, addirittura si è arrivati a dire che fosse il racconto di un'overdose, ci spiega cosa significava veramente?
«Ci sono state molte speculazioni, spazzatura e gossip. Era un titolo azzeccato e che, dopo tanti anni, fa ancora effetto. Era una frase strana, carpita a un party mentre qualcuno la diceva a un qualcun altro. Ci colpì subito, ma non so se l'impallidimento di cui parla fosse dovuto a troppi drink o all'effetto della droga».

Restando ai nomi, anche Procol Harum trasmette un'aura di mistero con quelle sue assonanze latine.
«Non l'abbiamo scelto noi, ma Guy Stevens che si occupava della band. Era il nome del suo gatto e ci piacque immediatamente. Del resto funziona ancora oggi, non c'è dubbio che abbia contribuito a rafforzare quel senso di ambiguità che ha decretato il nostro successo. Ambiguità e mistero sono stati il segreto di una canzone e di una band fortunata».

Frutto di quell'incrocio spurio fra Bach e gli ingredienti di black music?
«Allora mi piacevano tante cose: il primo rock, il rhythm'n'blues, il soul. Andavo pazzo per Ray Charles, Little Richards e Fats Domino, mi piacevano i cantanti che suonavano il piano, ed è quello che poi ho fatto. Mi interessavano anche i ritmi africani. E poi c'erano le influenze classiche».

Un po' più che influenze, la canzone si fa annunciare dalle note solenni prese direttamente dall'Aria sulla quarta corda di Bach.
«A quel tempo Bach lo ascoltavo molto e mi piaceva suonarlo al piano. Ma siamo andati molto al di là della sua musica. A quanto ne so Bach non ascoltava la black music, forse non sapeva neppure che esistevano i neri».

Fra lei è il grande compositore tedesco ci si è messo di mezzo il vostro organista di allora, Matthew Fisher che, dopo tre ordini di giudizio, è riuscito a veder riconosciuto il suo diritto a partecipare con il 40 per cento al copyright, ma non ai guadagni passati della canzone.
«È stata un'ingiustizia assoluta che mi è costata almeno un milione di dollari in spese giudiziarie. Io so quello che ho fatto e come. Ormai, però, fa parte del passato».

Ha conosciuto i Dik Dik, che fecero, con gran successo, la versione italiana del pezzo?
«Senza luce, vero? Ricordo che, qualche tempo fa, ero a Bellinzona in Svizzera e venne a trovarmi un signore, raccontando di aver cantato la canzone in italiano. I Dik Dik: anche quello è un nome strano».

A Whiter Shade of Pale uscì in un anno musicalmente miracoloso, il 67, e alla festa di lancio di Sgt. Pepper fu il pezzo più suonato. Cosa ricorda?
«Che i Beatles mi dissero che la ritenevano una grande canzone. A loro piaceva moltissimo».

Nei concerti la suonate come bis, tenendo il pubblico appeso alla corda.
«Ho provato, a volte, a metterla all'inizio, ma non funziona. La gente a quel punto non vuole altro, pensa che la serata sia finita. Invece facciamo altre canzoni interessanti perché in questi 50 anni abbiamo fatto molte altre cose. L'anno scorso è uscito un album, Novum, il primo dopo 14 anni, suonato con lo stesso tipo di formazione più coro e orchestra e seguendo i criteri di sempre: buona musica, buoni testi. È il segreto per non andare mai fuori moda come è successo a A Whiter Shade of Pale».

Della canzone sono state fatte 800 edizioni, eppure il vostro cosmico successo è passato fra alti e bassi, vai e vieni di musicisti, declino. Ora c'è l'inevitabile revival.
«A Whiter Shade of Pale, però, non è mai passata di moda. Quanto alla band andremo in tour da settembre. È un ritorno dopo una serie di incidenti. Sei anni fa sono caduto da una catasta di legna e mi sono rotto cinque costole. Poi ho subito la frattura del cranio e, qualche tempo fa, sono scivolato durante un concerto ferendomi mano e naso. Adesso, però, sto bene. Salire sul palco e cantare le canzoni dei Procol Harum mi fa felice. Del resto è quello che faccio dal 1967».

La band farà tre date in Italia: a Milano il 6 ottobre, a Pordenone il 7 e a Roma, all'Auditorum, il 9.
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