Il suo ritorno in pista, dopo tre anni di silenzio, è in quel segno con una nuova prova che mette insieme vecchi standard
Michael è un bel po’ che non si fa vedere in giro.
«Lavoravo come un pazzo e, quando mia moglie, Luisana Lopilato, è restata incinta, ho deciso di fare il padre. E non me ne pento, ho passato il periodo migliore della mia vita».
Il disco
«Gli standards li ho cantati da jazzista, andando in studio, in diretta, senza postproduzione. Per esempio una ballad come The very thought of you, che ho inciso pensando ai miei nonni che l’amavano. O God only knows dei Beach Boys che ho cantato mettendo sul piano che mi accompagnava le foto dei miei bambini».
Uno dei classici è Sotto il cielo di Roma, che Dean Martin negli anni 50, lanciò come On an evening in Roma.
«Ho provato anche a farla in originale, ma il mio italiano non è granchè».
Poi ci sono i pezzi nuovi, a cominciare da Nobody but me, che dà il titolo all’album.
«Tre li ho scritti io, il quarto è di Meghan Trainor e di Harry Styles degli One direction. Li ho realizzati affidando le registrazioni a un mago come Max Martin, uno che è dietro i successi di Taylor Swift, Katy Perry, Bruno Mars. Ci hanno lavorato al computer con 30 musicisti guidati da Johan Carlsson. Li chiamano la swedish mafia perchè mettono le mani, praticamente, su quasi tutti i dischi che escono e li confezionano proprio lì in quello stanzone, scambiandosi le idee».
Ha fatto sentire il suo disco al suo mentore David Foster?
«Si e mi ha detto: «Ce l’hai fatta». Ma quello che mi interessa è non incontrare più gente che mi dica «che bello il tuo disco con le canzoni di Natale» altrimenti mi sparo».
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