Michael Bublè: «Io, un italiano vero in ogni nota che canto»

Michael Bublè: «Io, un italiano vero in ogni nota che canto»
di Marco Molendini
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Domenica 16 Ottobre 2016, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 16:47
Parlare con Michael Bublè può essere terapeutico. Canadese di sangue italiano, non perde occasione per lanciarsi in peana del paese di origine. Ti racconta che i suoi due figli li ha concepiti qui (per la precisione all’Hotel Parco dei Principi) e, se il discorso passa al nuovo album, Nobody but me (che uscirà venerdì) spiega che anche in questo disco rende un tributo alle sue radici: «Tutti i cantanti che amo, Frank Sinatra, Tony Bennett, Dean Martin sono figli di italiani».

Il suo ritorno in pista, dopo tre anni di silenzio, è in quel segno con una nuova prova che mette insieme vecchi standards da crooner e pezzi destinati al grande pubblico. In questi giorni Michael, quarantenne con la testa sul collo, nel suo tour di promozione è sbarcato a Roma, dove ha partecipato all’Edicola di Fiorello (si è presentato alle 7, dopo essere arrivato alle tre di notte) e poi ha sfilato sul red carpet della Festa del cinema dove è stato proiettato Tour stop 148, che racconta il suo tour passato e che, il 25 e 26, passerà nei cinema.
Michael è un bel po’ che non si fa vedere in giro.
«Lavoravo come un pazzo e, quando mia moglie, Luisana Lopilato, è restata incinta, ho deciso di fare il padre. E non me ne pento, ho passato il periodo migliore della mia vita».

E com’è rientrare in pista?
«Sono ripartito con molte idee. A cominciare da questo disco che ho voluto produrre io. Non è stato facile rinunciare a gente come David Foster o Tommi LiPuma. Tutti dicevano che ero pazzo. Ma sono contento».

Il disco unisce standards alla Sinatra con nuove canzoni.
«Gli standards li ho cantati da jazzista, andando in studio, in diretta, senza postproduzione. Per esempio una ballad come The very thought of you, che ho inciso pensando ai miei nonni che l’amavano. O God only knows dei Beach Boys che ho cantato mettendo sul piano che mi accompagnava le foto dei miei bambini».

Uno dei classici è Sotto il cielo di Roma, che Dean Martin negli anni 50, lanciò come On an evening in Roma.
«Ho provato anche a farla in originale, ma il mio italiano non è granchè».

Poi ci sono i pezzi nuovi, a cominciare da Nobody but me, che dà il titolo all’album.
«Tre li ho scritti io, il quarto è di Meghan Trainor e di Harry Styles degli One direction. Li ho realizzati affidando le registrazioni a un mago come Max Martin, uno che è dietro i successi di Taylor Swift, Katy Perry, Bruno Mars. Ci hanno lavorato al computer con 30 musicisti guidati da Johan Carlsson. Li chiamano la swedish mafia perchè mettono le mani, praticamente, su quasi tutti i dischi che escono e li confezionano proprio lì in quello stanzone, scambiandosi le idee».

Ha fatto sentire il suo disco al suo mentore David Foster?
«Si e mi ha detto: «Ce l’hai fatta». Ma quello che mi interessa è non incontrare più gente che mi dica «che bello il tuo disco con le canzoni di Natale» altrimenti mi sparo».
 
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