Gabriella Ferri, 15 anni fa la tragica morte: una storia di successo e fantasmi

Gabriella Ferri, 15 anni fa la tragica morte: una storia di successo e fantasmi
di Marco Molendini
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Mercoledì 3 Aprile 2019, 14:45
Un volo per finire una storia difficile. Una storia di successi, dolori, fantasmi e dipendenze. Chissà forse è un destino, come succede, ed è successo, a tanti talenti. Ma la vita dannata, se spesso alimenta le leggende, nel caso di Gabriella Ferri è stata una condanna, il tarlo che corrode, che consuma a cominciare dal bene più prezioso, la voce. Sono passati 15 anni da quel volo: accidentale o, forse voluto. Probabilmente causato dall'eccesso di antidepressivi, un giramento di testa e giù fino a terra. Aveva 61 anni, viveva quasi da eremita in campagna, a Corchiano, in provincia di Viterbo, alimentata dai suoi ricordi. Giorni belli e giorni brutti, giorni anche bruttissimi. Ma quando esplose, con quello sguardo folgorante, i capelli biondi, il sangue testaccino e la voce che viene dall'anima, il futuro le sorrideva. Poco più che ventenne, incontrò un'altra ragazza, bella come lei, che amava la musica come lei, le radici popolari come lei e si lanciarono: Luisa e Gabriella, romane de Roma.

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L'amica, figlia di un grande regista come Giuseppe De Santis, quello di Riso amaro, che quindi aveva respirato il clima del cinema, lei profondamente popolana, con il papà Vittorio, venditore ambulante e maestro de tacco e de punta, che cantava e ballava gli stornelli romani. Si è formata in famiglia la passione di Gabriella e, su quella passione comune, si è formato il duo: assortimento curioso, assolutamente inedito, di due belle ragazze che trovano la sfrontatezza giusta per cantare le canzoni da osteria. La cosa buffa è che il successo delle due romane de Roma è partito da Milano, dall'Intra's club del pianista di jazz Enrico Intra, dove a notarle è Walter Guertler, produttore discografico della Jolly. Fu subito centro, con una canzone scritta una paio di anni prima da Armandino Bosco allora appena quindicenne e sentita la prima volta, così raccontarono, Luisa e Gabriella, mentre risuonava da un banco del mercato di via Sannio. A colpire erano i toni umoristici del testo. Un testo ironico ma anche greve, assolutamente in contrasto con la presenza fisica delle due ragazze, del tutto in linea con la nuova gioventù degli anni Sessanta. «Fatece largo che passamo noi»: non potevano non colpire, non solo per il canto, ma anche per l'estetica. Illuminavano, erano sexi e cantavano bene. Finirono così in tv, ospiti della Fiera dei sogni di Mike Bongiorno. Il resto è storia, compresa un altra canzone rimasta come Sinnò me moro, e la fine del duo: Luisa che lascia per timidezza, perché soffriva ad esibirsi in pubblico. 

Gabriella restò sola. Il primo album solista nel '66, pieno di canzoni della romanità,/Barcarolo romano, Nina si voi dormite, ma anche Le mantellate di Strehler. Un tour in America con altri cantanti folk come Otello Profazio e Caterina Bueno, il Bagaglino di Pingitore di cui diventa la voce immagine, ma anche il Folkstudio. Addirittura il Piper club. Già, è tempo di beat. E Gabriella, sotto contratto con la Rca, ci prova, va anche a Sanremo e canta in coppia con Stevie Wonder Se tu ragazzo mio, scritta assieme al padre Vittorio: viene eliminata, ma il pezzo ha successo. Da allora va avanti fra tentativi di reinventare la canzone romanesca (Sor fregnone, scritta su musica di Vittorio Nocenzi, il tastierista del Banco del Mutuo Soccorso), sconfinamenti nella cazone napoletana (Lacrime napulitane), recuperi (come IL valzer della toppa con le parole di Pasolini) e una tendenza, sempre più accentuata di dare corpo alle sue interpretazioni, veri e propri ritratti viventi di cui è simbolo un'amarissima versione di Dove sta Zazà, che diventa anche il titolo di un suo fortunato spettacolo televisivo (dove la sigla finale era Sempre, di Mario Castellacci e Franco Pisano, altro suo successo). La tv le apre le porte e fa un altro bel programma, Mazzabubù, sempre diretta da Antonello Falqui (con la sfida a base di stornelli a dispetto con Claudio Villa e con comici come Enrico Montesano e Pippo Franco), poi Giochiamo al varieté (1980). Incide un disco, che porta semplicemente il suo nome, Gabriella, con canzoni di Paolo Conte. Dopo qualche anno passato in America, torna con Pingitore e gli amici del Bagaglino per Biberon (anno 87), ma Gabriella è già una donna tormentata. Molto ingrassata, canta con sempre più disperazione, la sua voce strappata fino a graffiare l'anima, incurante se a volte va in fuori giri. E' sofferente, come appare al Premio Tenco del 96, dove si esibisce accompagnata dal chitarrista degli Avion Travel Fausto Mesolella e poi in un concerto pieno di gente a Villa Celimontana. L'ultimo album, Ritorno al futuro, è del 97, ma la depressione sta prendendo il sopravvento, una morsa che la lascia libera solo nel 2002 quando appare a Buona Domenica di Maurizio Costanzo ricantando i suoi successi con energia, passione e anche tanta difficoltà. 

Parli di Gabriella Ferri e non puoi non pensare a Roma, a Testaccio, alla sua Campo dei fiori dove era di casa, a una Magnani che canta, ma più disperata che amara, con la rabbia nel cuore, insieme all'orgoglio di donna e un senso infinito di tragedia. Se ne è andata lasciando un'impronta forte, non solo come innovatrice della canzone romanesca (nella storia molto sottovalutata), ma anche come interprete forte e sincera, per esempio nella raccolta Canti Di Versi dove, tra ritmi jazz, tanghi e flamenchi, tiene insieme omaggi a Amália Rodrigues (Coimbra), canzoni sue e di autori celebri come Paolo Conte (Vamp), Luigi Tenco (Lontano lontano), Morricone (Stornello dell'estate), la dolorosa Via Rasella, Una donna sbagliata, È scesa ormai la sera.
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