Discoteche, Bob Sinclar: «Riapritele: possono salvare la vita, la musica è cura»

Discoteche, Bob Sinclar: «Ora possono salvare la vita, la musica è cura»
di Marco Pasqua
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Domenica 13 Giugno 2021, 07:28 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 15:39

IL COLLOQUIO
È riuscito a far ballare, durante il lockdown, oltre cento milioni di persone, suonando, per 55 giorni consecutivi, dal suo studio parigino casalingo, in collegamento con i suoi canali social. Il Covid, come molti artisti, lo ha vissuto sulla sua pelle, dovendo rinunciare a fare ciò per cui dice di essere nato: «Far divertire le persone». Bob Sinclar, più che un dj uno dei più longevi al mondo, con i suoi 52 anni e i 9 album che sono stati la colonna sonora per diverse generazioni è un'icona della musica internazionale con un sogno, che è anche un appello: tornare a far ballare il suo pubblico. Intanto, nell'attesa che le discoteche possano riaprire i battenti, il produttore ha pubblicato quella che potrebbe diventare la nuova hit dell'estate: We could be dancing con la cantautrice svedese Molly Hammar.

Nato come omaggio agli anni Ottanta con un riferimento ai Bee Gees e al loro You should be dancing - è, soprattutto, un inno alla ripartenza.

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DIVERTIMENTO
«La musica è una cura spiega e le persone hanno bisogno di tornare a ballare. La gente vuole divertirsi, vuole passare il tempo in compagnia. In questo lungo periodo, di lockdown e restrizioni, sono aumentate la sensazione di solitudine, ma anche l'ansia e la depressione. Io penso che la musica possa aiutare a lottare contro questi mali». E Sinclar chiarisce subito che il suo appello non ha nessuna motivazione di tipo economico: «Non ne faccio una questione di soldi: permettere alle persone di ritrovarsi nelle discoteche, è un passo fondamentale per il loro benessere mentale».

Di questo anno e mezzo in cui la pandemia ha colpito il mondo, apprezza un solo aspetto: «Quando viaggi molto, quando sei ogni sera in un locale diverso, ti ritrovi catapultato in un uragano ed è difficile scrivere. In questi mesi, invece, ho avuto la possibilità di concentrarmi sul mio lavoro e ho diversi singoli pronti. Ma la condivisione è tutto: produrre musica, senza poterla suonare di fronte alle persone, per me è come non produrre nulla».

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Un omaggio agli anni Ottanta, questa We could be dancing, che sembra celebrare una sorta di età dell'oro: «Mi manca la felicità di quegli anni. Sono molto legato a quello stile di vita, alla moda e a quella musica. In quel periodo, c'erano molti generi, diversi tra loro: ora in radio le hit si assomigliano tutte. Per non parlare delle piattaforme di streaming: lì la musica che le persone ascoltano è controllata dagli algoritmi».


GLI INVITI
Con l'Italia e gli italiani ha un legame speciale: apre la sua agenda e inizia a sfogliare, tra luglio e agosto, i diversi club che lo hanno già opzionato: «Dovrei suonare a Gallipoli, Forte dei Marmi, a Rimini e in Sardegna. Ma non c'è niente di certo, perché i locali sono chiusi e non è possibile programmare nulla. Invece penso che si debba agire, andare avanti, nell'interesse di tutti: ci sono i vaccini, che ora offrono molte opportunità. E, inoltre, è possibile sottoporre le persone ad un tampone, prima di entrare nei club. Insomma: è arrivato il momento di prendere una decisione». «La discoteca per me è un luogo sacro dice il papà di successi come World, hold on, Love Generation e Rock this party - un posto in cui non esistono barriere, relativamente alla religione e alla razza delle persone, ad esempio. Oggi ci manca vivere un luogo in cui non esiste nessun gap tra chi lo frequenta. Ora, più che mai, abbiamo bisogno di emozioni positive».

 

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