Depeche Mode allo Stadio Olimpico: tra dance e nostalgia a Roma per la rinascita

55 mila fan allo Stadio Olimpico, mercoledì sera, per il “Memento Mori tour” di Dave Gahan e Martin Gore. Con i brani storici e dal nuovo album l’arena si trasforma in pista da ballo. Omaggio a Andrew Fletcher, il chitarrista scomparso poco più di un anno fa

Martin Gore e Dave Gahan, i Depeche Mode, mercoledì 12 luglio all'Olimpico di Roma
di Simona Antonucci
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Venerdì 14 Luglio 2023, 17:40

 “MM”: sul palco incombono, giganti, rosse, viola, le prime due lettere di Memento Mori, “ricordati che devi morire”, titolo dell’album e mood del tour mondiale (oltre due milioni di biglietti venduti fino ad oggi). Ma quello che è arrivato ai 55mila fan dei Depeche Mode, che mercoledì sera grondavano di vita all’Olimpico, è un invito a mordere il tempo che resta. E se a spedirlo sulla folla è Dave Gahan, seconda metà del duo con Martin Gore, un senso ce l’ha, visto che lui di morti e rinascite se ne intende (si è guadagnato, dopo tentati suicidi e overdose, il soprannome The Cat, il gatto). Ieri, l’invito a a cogliere l’attimo, è stato colto a pieno. Nessuno escluso.

Depeche Mode, il concerto allo Stadio Olimpico

IL DEBUTTO

Dopo oltre cinque anni dall’ultima tournée, uno dei gruppi più influenti nella storia della musica elettronica sceglie Roma per il debutto italiano del nuovo show (venerdì 14 luglio saranno al San Siro di Milano e domenica 16 all’Ara di Bologna, ma torneranno a marzo 2024, il 23 al Pala Alpitour di Torino, il 28 e il 30 al Forum di Milano) e per il lancio del quindicesimo album in studio.

E per oltre due ore infiammano lo stadio con un concerto pop nell’accezione più elegante, che sul red carpet dell’elettronica fa sfilare rock e new wave, con incursioni nella dance (graditissime dalla immensa pista da ballo diffusa sul prato, da curva nord a curva sud).

Viaggiando tra passato (Enjoy the Silence, Just Can’t Get Enough) e futuro (Ghosts Again, dal nuovo album), a “cavallo” di un asinello proiettato in video, ancheggiando lungo il ponte del palco, tirandosi dietro tutti. Evitando l’effetto del già sentito. Un ennesimo, nuovo inizio, l’apertura di un ulteriore capitolo di un’eredità gloriosa per un gruppo che ha venduto più di 100 milioni di dischi e suonato per più di 35 milioni di fan, in tutto il mondo. Nonostante le ferite: poco più di un anno fa è scomparso Andrew Fletcher, il tastierista iconico, uno dei fondatori della fabbrica di cult.

 

In suo onore il brano World in My Eyes accompagnato dalle immagini dell’amico e da una platea commossa, invitata da Gahan agli applausi. Tributo piazzato al centro di una scaletta che rende onore al nuovo album e guarda avanti. Tra malinconia e speranza, affidate a chitarre e sintetizzatori, con testi che affondano sul tema della perdita, alternati a passaggi di una leggerezza inedita per una formazione che sul disastro esistenziale ha costruito una fortuna. Gli applausi partono a raffica, insieme con l’attacco di My Cosmos is Mine, nuova hit, impenetrabile, che fa felice i seguaci del tempo che fu (quaranta gli anni di carriera) per le citazioni industrial degli Ottanta.

Settimo Sigillo

La morte entra ed esce di scena, ci si gioca a scacchi come nel Settimo Sigillo (qui a rischiarsi la partita sono Dave e Martin) e ancora salti in avanti con altre 4 canzoni da Memento Mori: Ghosts Again, la serenata Soul With Me, il requiem Speak to Me e l’inno alla resilienza Wagging Tongue. Non mancano i classici da Violator, Ultra, Construction Time Again, Songs of Faith and Devotion. Sister of Night, Everything Counts (un tempo partivano gli accendini), Precious. Ballano tutti. E ancora I feel You, Wrong, Stripped.

IL BIS

Nel bis, Waiting for the Night, Never Let Me Down Again e uno dei loro primissimi successi, Just Can’t Get Enough, dall’album Speak & Spell. Ultra (1997) fa capolino anche con It’s No Good. Un trionfo per il duo che in verità è una famiglia allargata di illustri collaboratori scesi in campo per l’album che sostiene il tour: dalla produzione di James Ford (Arctic Monkeys) e della nostrana Marta Salogni (Bjork), anche coautori di alcuni brani, e poi Peter Gordeno e Christian Eigner, il maestro Davide Rossi (Verve, Coldplay) e Richard Butler degli Psychedelic Furs, coautore di ben quattro pezzi. I saluti li affidano a Personal Jesus, un “Gesù personale, qualcuno che ascolti le tue preghiere”. Perché in attesa di morire, c’è ancora tanto da divertirsi. Come l’altra notte. 

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