Umberto Eco, lo speleologo del futuro che demolì la cultura conformista

Umberto Eco, lo speleologo del futuro che demolì la cultura conformista
di Mario Ajello
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Domenica 21 Febbraio 2016, 12:27 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 12:29

Probabilmente è morto sorridendo Umberto Eco. Capita ai tipi come lui. «Il riso - ha detto una volta - è anche un modo per esorcizzare la morte. Il mio modello è Alfred Jarry che nel momento di morire chiede uno stuzzicadenti. Quell’attimo è semplicemente sublime». Ora Eco quell’attimo lo ha vissuto e così può dirigersi direttamente verso il futuro. Che gli appartiene da sempre e che ha saputo anticipare con il suo occhio e con i suoi studi, con il suo sguardo da puer aeternus e da sapientissimo prof. Nel quale, con gusto fusion e insieme finger food, perché Eco ha sempre toccato con mano i temi più impensabili, si sono mescolati il Tomismo e il suono del suo flauto dolce maneggiato per hobby, il fascino dell’occultismo sapienzale e il fumetto degli anni trenta, Superman e Everyman (si veda la strepitosa “Fenomenologia di Mike” inteso come Bongiorno), l’“Autunno del Medioevo” di Johan Huizinga e il romanzo rosa e quello popolare, la passione per la mnemotecnica di Raimondo Lullo e la stesura da autore ombra di “Come farsi una cultura mostruosa” di Paolo Villaggio, la filosofia estetica e l’ermeneutica del gossip.

 
I TEMI CENTRALI
Lo speleologo del futuro é sceso nelle viscere del moderno e del post moderno indagandole in ogni angolo, e portando in Italia ciò che in Italia non c’era ancora: i primi vagiti dello strutturalismo di fronte al quale la cultura tradizionale anche o soprattutto di sinistra - quella del filone egemone Croce-De Sanctis-Gramsci - inorridì. Poi la semiotica, e lo studio dei segni e la comunicazione finiranno per imporsi come i temi centrali della fine del Novecento. È stato uno choc, per la solita Italia, il ciclone culturale SuperEco. La creazione, grazie a lui e con l’iniziale contributo letterario del Gruppo 63, di un nuovo mildcult italiano.

LA TELEVISIONE
Eco ha capito anzitempo le trasformazioni in atto: a cominciare dalla tivvú, lavorandoci dentro insieme a Gianni Vattimo e Furio Colombo assunti insieme a lui, tutti e tre giovanissimi, alla Rai di Milano. Ed è stato tra i primi a scrivere di comunicazione di massa perché faceva teoria in base a un'esperienza concreta. Per poi continuare a svolgere la sua critica dei media attraverso i media. Mentre con i suoi romanzi in serie ha volgarizzato senza offenderla la Scolastica e buona parte della cultura occidentale, per darla in pasto al lettore-massa, quel lettore che è cresciuto con il “Nome della rosa” e coi programmi Mediaset, senza vedere alcun contrasto tra le due cose. Un contrasto che lui vedeva e a cui ben volentieri si adattava. Le antinomie e le apparenti contraddizioni sono il quid del Fenomeno Eco.

Il super accademico («Ho la libido docendi», diceva di se) è quello che ha triturato il distacco altezzoso della tradizione universitaria italiana con la lama delle tirature milionarie dei suoi romanzi. Ha inventato la tuttologia, e insieme l’idea che l’onniscienza vissuta con la leggera consapevolezza della propria profondità potesse non essere una bufala. E di fatto è stato un EncycloMan questo personaggio dai mille saperi e dalle infinite sfaccettature: filosofo, romanziere, animatore di villaggio (ovviamente globale), medievista, bibliomane, fumettaro, editore, editorialista, polemista (con Pasolini da lui accusato di «ingenuità semiologica»), apocalittico e integrato, moralista e umorista, incendiario e pompiere, viaggiatore e provinciale, snob e superpop. È stato tra i primi, essendo una sorta di Wikipedia in carne ossa, a capire la rivoluzione di Internet, lui che è restato fino alla fine un gutembergiano incallito, e tra i primi a ragionare sui difetti della Rete. Con questa amarezza: «Prima, gli imbecilli parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino. Mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel».

Da speleologo del futuro, attraverso lo studio del passato ha capito quanto la sindrome del complotto - un tema che lo ha affascinato particolarmente - poteva diventare una nuova ideologia di massa dopo il crollo delle ideologie e un nuovo oppio dei popoli nell'epoca della scristianizzazione. E così è stato. E ancora: non ha conosciuto tabù il suo approccio alla narrazione. Occhio a come Eco ha frullato le dimensioni del tempo, nell'abbazia benedettina del “Nome della rosa”. Ha portato il lettore in un mondo medievale che a tratti sa di Italia anni '70. Con Fra’ Dolcino e le antiche eresie raccontati come simulacri dei gruppi terroristi del tempo in cui Eco stava scrivendo il suo long seller da 30 milioni di copie nel mondo. Un mondo, quello composto da tutti i mondi da lui esplorati, che agli occhi di Eco ha la forma infinita di un sorriso.

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