La verità velata dell'Occidente

La verità velata dell'Occidente
di Alessandra Spinelli
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Giovedì 4 Agosto 2016, 17:13 - Ultimo aggiornamento: 5 Agosto, 16:31
Il viso coperto totalmente con due buchi all'altezza degli occhi, un altro per il naso e un terzo per la bocca. Così tutti i giorni, salvo rare occasioni, per le spose non sposate ovvero per le giovani da marito. Ma anche per le altre donne il velo è d'obbligo: lungo fino a terra, a mezza gamba o a mezza schiena, a volte più corto. Dipende se si è a Venezia oppure a Napoli o a Firenze. Sì, perché non sono capi per quelle donne musulmane che velate in ogni parte del mondo occidentale oggi mettono in crisi il comune senso del vestire o persino il concetto di libertà. Tutt'altro. La regola del capo coperto è assolutamente cristiana.

A ricordare quando il velo lo portavamo noi - e solo qualche lustro fa, specie al Sud, abbiamo smesso di portare fazzoletti e foulard - è un dotto libro A capo coperto della storica Maria Giuseppina Muzzarelli (Il Mulino, 214 pagine, 16 euro) che ripercorre la cronografia di donne e di veli nel nostro Paese e in generale in Europa. Docente di Storia medievale, Storia delle città e Storia del costume e della Moda nell'Università di Bologna, Muzzarelli analizza una tradizione millenaria, documentata fin dalla Bibbia, nella società greca e romana, codificata da San Paolo, poi dai Padri della Chiesa e infine dai legislatori medievali fino all'evoluzione dell'età moderna e contemporanea. Quando il copricapo femminile esce dalla rigidità dell'educazione sociale o religiosa per diventare un puro e unico accessorio di moda.

LA CHIAVE
Ed è proprio la moda, o più specificamente il processo di produzione di questo particolare capo di moda, la chiave di volta per comprendere come una obbligatoria pezza di tela, simbolo di verecondia e dipendenza, sia poi diventata, leggera di seta o arricchita di perle e ricami, solo uno specchio dei costumi del tempo, perfino superfluo.
Nel mondo antico il velo in testa alle donne era consuetudine e indicava con colori o tessuti particolari il rango o la funzione sociale: si pensi ai veli delle Vestali. Un modello, con il loro candore virgineo, per San Paolo quando nella prima lettera ai Corinzi specifica che «di ogni uomo il capo è Cristo e capo della donna è l'uomo e capo di Cristo è Dio ...,ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo manca di riguardo al proprio capo... l'uomo non deve coprirsi il capo poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza». È da queste parole, e poi ancora con il trattato di Tertulliano De velandi virginis, che il concetto donna velata come emblema di modestia e di sottomissione, andrà avanti per secoli rafforzata dalle splendide opere pittoriche da Giotto a Gentile da Fabriano, da Tiziano ai fiamminghi, che raffiguravano Maria Vergine e Madonne, dai veli candidi o sontuosi.

RIVOLUZIONE
Proprio l'iconografia però con il passare dei secoli ci mostra come sia riduttivo parlare di un velo o di un copricapo. Ecco infatti teli, bende, ghirlande, glimpe soggoli, cappucci, cuffiette, coni, corgiere, coroncine, balzi, coazzoni, berretti, vitte, fazzuoli e ancora via elencando fogge e tessuti diversi come ha mostrato ritratti un incredibile blog ante-litteram Degli Habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo fatti da Cesare Vecellio e con discorsi da lui dichiarati. Il veneziano Cesare Vecellio, cugino di secondo grado di Tiziano, nel 1590 pubblicò infatti immagini di uomini e donne abbigliati di tutto punto d'Europa, Asia e Africa. Una sorta di catalogo - come il velo integrale per le future spose di Venezia simile alla moderna habaya musulmana - della moda di coprire il capo.
Al di là delle norme che sanzionavano sin dall'Alto medioevo l'uso scorretto di copricapo - tutto era controllato e non dai rigidi guardiani della fede e, per ricordare, le prostitute non erano mai velate - fu l'artigianato e il commercio dal Duecento in poi a modificare e ad ampliare il concetto di velo. Fino a un paradosso storico sottolineato da Maria Giuseppina Muzzarelli: il velo che doveva coprire in realtà svelò la donna non solo in tutta la sua bellezza ma anche in tutta la sua abilità. A capo dell'industria dei copricapi femminili c'erano infatti prevalentemente donne come le merciaie di Maiorca. Che alla fine abbellendo e arricchendo il semplice panno in testa con il tempo lo fecero diventare - spose e suore a parte - solo un accessorio di moda, niente di più, consacrato nel Ventesimo secolo da quell'oggetto del desiderio chiamato carré, il foulard di Hermès.

IL FUTURO
Se ora sarà la moda, o meglio l'economia della moda, a mutare il modo di vestire delle donne musulmane, ammesso che sia questo ciò che loro desiderino, è solo un'ipotesi che si evince quando nel libro vengono citate le nuove e sempre più numerose collezioni della modest fashion, un movimento globale, da Dolce&Gabbana a H&M, dedicate proprio al mondo islamico: tessuti, ricami e intarsi rendono decisamente più modaiolo l'hijab che comunque resta un simbolo forte d'espressione della religiosià islamica. Anche se, come se scrive Muzzarelli, «il linguaggio della moda rende palese il paradosso del nascondere per attrarre sguardi vanificando buona parte del suo potenziale misogino».

Eppure resta il turbamento nel guardare le donne musulmane velate. Riecheggia forse in noi la lezione di San Paolo che riuscì a fare dell'imposizione del velo una sorta di réclame del cristianesimo: ora l'Islam fa lo stesso con hijab, niqab, abaya, chador, burqa o semplice foulard. Così per tutto il mondo, Occidente compreso, purtroppo un velo non è ancora solo un semplice velo.

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