L'Aquila, Mammut, tunnel segreti e laboratori spaziali: al Maxxi l'Abruzzo marziano

nella foto il Mammut fotografato da Claudia Pajewski
di Laura Larcan
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Sabato 12 Marzo 2022, 11:19 - Ultimo aggiornamento: 11:35

Mammut marziani, tunnel segreti scavati secoli fa sotto il Forte spagnolo, le macchine intelligenti dei laboratori del Gran Sasso, signore e signori il futuro (più attuale e meno distopico) abruzzese va in scena al Maxxi L'Aquila. Quando l’arte esplora il futuro, allora, ecco che brilla il lato estetico (e creativo) di un’indagine scientifica. Una sfida nel segno della bellezza, quella del Maxxi L’Aquila che si propone come avamposto culturale italiano nel far dialogare arte e scienza. E’ il leitmotiv sul filo della tecnologia, della ricerca e dell’estro che caratterizza il nuovo secondo anno di vita (2022) di questo speciale polo museale anima di Palazzo Ardinghelli, straordinario gioiello settecentesco risorto dalle ceneri del sisma. E il capoluogo abruzzese si ossigena, e vale buona parte del viaggio.

L'Aquila, Mammut, tunnel segreti e laboratori spaziali: al Maxxi l'Abruzzo marziano

I LABORATORI SEGRETI

Il debutto ha la suggestione di allestimenti multimediali, installazioni, e la forza della fotografia. Due mostre complesse e suggestive frutto di speciali committenze, dal 12 marzo al 12 giugno. “In itinere”, la prima rassegna espositiva, raccoglie una scuderia di artisti che hanno lavorato sul territorio in sinergia con il Munda, il Museo nazionale d’Abruzzo e il Gran Sasso Science Institute con i Laboratori nazionali del Gran Sasso. Brilla il lavoro di Armin Linke, “Gran Sasso”, frutto di tre settimane di soggiorno fianco a fianco con gli scienziati. Foto-installazioni e proiezioni, ma anche testi e audio, evocano un mondo sotterraneo, una cittadella di perfetta armonica ipertecnologica umana bellezza. «Armin linke ha lavorato nei laboratori restituendo la complessità di luoghi e uomini», racconta il direttore Bartolomeo Pietromarchi. La dialettica teatrale di due scienziati davanti alla loro lavagna, la fierezza di calcoli su un tablet, la grazia dell’intelligenza artificiale, gli scienziati che curano le loro macchine con affetto materno. Come Elena Aprile, professoressa alla Columbia Univercity, responsabile della ricerca sulla materia oscura.

Lo scienziato ha un rapporto estetico con la macchina e Armin Linke ha saputo raccontare la passione degli scienziati.

IL MAMMUT MARZIANO

Dal futuro, ai sotterranei del Castello spagnolo de L’Aquila, secolare fortezza sul confine dell’antico Regno delle Sicilie, mortificata dal sisma e ora in fase di rinascita. E i cunicoli sotterranei, invisibili, sconosciuti diventano il cuore della videoinstallazione dei Masbedo: «Un lavoro che restituisce l’aspetto acustico di questo mondo perché i sotterranei sono storicamente disegnati in modo da permettere le comunicazioni a distanza tra i soldati», spiega Pietromarchi. Mentre Claudia Pajewski, aquilana, fotografa filosofa e lirica, dialoga con il Mammut iconico della città, un tesoro fossile di 1,3 milioni di anni fa. Con una sola zanna. «Probabilmente persa quando era ancora in vita», racconta la fotografa. E lo restituisce come una creatura mitica e marziana, aliena e commovente. Ipnotiche e oniriche, preziose e raffinate, potenti e misteriose, le fotografie raccontano questa creatura preistorica attraverso un ambiente sonoro. Immagini e voci (compresa quella della mamma dell’artista). E in sinergia con la sua mostra, il Mammut torna visibile eccezionalmente nei weekend. Miltos Manetas, poi, lavora (gioca, diverte, crea...) con un allestimento legato al progetto del metavarso. A questi si affiancano le opere di Cao Fei (un autentico film sul futuro) e la scultura di Hidetoshi Nagasawa che brilla nella corte del palazzo con il suo linguaggio dell’Arte povera: la leva e il compasso.

L’altra mostra, anima di Palazzo Ardinghelli, è “Di Roccia, fuochi e avventure sotterranee”, progetto curato da Alessandro Dandini de Sylva che raccoglie le avventure fotografiche di cinque maestri, pellegrini in giro per il mondo, nelle viscere (è il caso di dirlo) dei cantieri della società Ghella (committente illuminato), specializzata in gallerie titaniche. Racconta l’ideatore e promotore Matteo D’Aloja: «Abbiamo promosso una serie di campagne fotografiche che non vogliono essere un documentario del lavoro di cantiere, ma altro. L’idea è stata quella di prestare il cantiere a soluzioni infinite, completamente libere, al servizio delle ricerche individuali degli artisti. L’obiettivo era liberare un immaginario che aleggia su un cantiere».

AVVENTURE FOTOGRAFICHE

E le immagini diventano poesia e filosofia, teatro e intimità, coraggio e sfida. Le “cronache marziane” di Alessandro Imbriaco (che dobbiamo immaginare come un moderno Jules Verne in un viaggio al centro della Terra, ma bardato di dispositivi di sicurezza e protettivi tanto da farlo sembrare un astronauta sotto la Baia di Sidney). Ancora, Marina Caneve che racconta il cantiere della metro di Atene, dove l'archeologia industriale si fonde con i reperti millenari, restituendole come piccole sculture. Francesco Neri, "missionario" ad Hanoi, che parla di confini tra cantiere e mondo urbano. Andrea Botto è il mago delle esplosioni, illusionista intrepido dell'obiettivo a caccia dell'attimo fuggente della miccia che innesca il "botto". Un nome un destino per lui. E Fabio Barile, un po' Argonauta un po' Capitan Nemo del tunnel ferroviario che collega Oslo a Ski. 

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