Bimbo ucraino di 7 anni dal giorno del primo bombardamento non parla più

Bimbo ucraino di 7 anni dal giorno del primo bombardamento non parla più
di Raffaella Di Claudio
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Sabato 12 Marzo 2022, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 07:23

RIETI - Zacarii, 7 anni, cappello rosso, occhi color del cielo e giacca blu, quando arriviamo sta mangiando un lecca lecca. Non parla più dal 24 febbraio, quando alle 6.30 del mattino è stato svegliato dal boato generato dal missile russo che si è abbattuto sull’aeroporto di Ivano-Frankivsk, a poca distanza da casa sua. L’onda d’urto dell’esplosione ha mandato in frantumi i vetri, il rumore gli ha stordito le orecchie e fermato le parole. «Era già un po’ timido – spiega nonna Miroslava - ma parlava normalmente. Prima di partire la mamma lo ha portato da uno psicologo che le ha detto che dovrebbe tornare a parlare quando passa la paura». Ma quando passa la paura in un bambino di 7 anni che ha dovuto lasciare il padre e la sua quotidianità per finire in mezzo a persone che non comprende? Miroslava, la nonna cinquantenne che lo accompagna insieme alla mamma Pyslana (31) e al fratellino Arsen di due anni e mezzo, non lo sa. Il cognome non vuole dirlo. 

Lo shock. La paura che le conseguenze della guerra li raggiungano pure a migliaia di chilometri è la stessa che ha fatto disinstallare Whatsapp alla figlia «perché è russo e ci possono geolocalizzare». Parla bene italiano, Miroslava. Lo ha imparato nei 10 anni trascorsi Italia, dal 2003 al 2013, lavorando come domestica. E la mattina del 24 febbraio, per un momento, il boato dell’attacco all’aeroporto le ha riportato alla mente il tonfo del terremoto del 2006 a L’Aquila che fino a quel momento le era sconosciuto. «Ho pensato, ma che succede – racconta -? Ora c’è il terremoto anche in Ucraina? Avevo visto la televisione fino a mezzanotte, perché da giorni sentivamo che la guerra poteva scoppiare, ma non credevamo accadesse».

Poi sono iniziate le sirene e le fughe nelle cantine. Continue. Le notti insonni. Solo mercoledì, quando è arrivata a casa di Claudio, Lidia e Pierluigi Valzecchi, a Coltodino, frazione di Fara Sabina, è riuscita a dormire. 

«Ma avevo dimenticato di disconnettere la chat che avverte del rischio bombe e quando il telefono ha suonato – spiega la donna - sono scattata in piedi. Pensavo di essere ancora in Ucraina e che dovevo scappare». L’ansia non passa. Anche i piccoli sobbalzano ancora. Se cade un oggetto si tappano le orecchie. Se arriva un brutto sogno, fuggono verso la porta. «Stavamo in santa pace – sospira Miroslava - Dopo tanti sacrifici, ero riuscita a dare una casa e a far laureare i miei figli. Ero tornata per restare. Se me lo avessero detto, che un giorno avrei dovuto lasciare il mio letto, le mie cose per andare chissà dove, senza conoscere nessuno, li avrei presi per matti. Abbiamo aspettato, pensavamo durasse due o tre giorni come in Kazakistan, poi quando la guerra si stava avvicinando verso Ivano-Frankivsk (230 mila abitanti vicino a Leopoli, ndr), abbiamo deciso di scappare. Sapevo che c’erano dei pullman per l’Italia. Sono andata su internet, ho trovato il numero e ho prenotato». Ha preso 900 euro e 2 valigie, ma il conto della disperazione, alla frontiera con la Slovacchia, è arrivato subito: 150 euro a sedile occupato. Anche dai bambini. Quattro biglietti per la libertà: 600 euro. «Il viaggio è stato terribile per i bambini – prosegue -. Con 50 persone, senza poter alzarsi, più di 24 ore, piangevano e non dormivano. Poi gli manca il papà. Lo chiamano in continuazione. Oggi tre volte. Ma per fortuna abbiamo trovato l’affetto di Lidia e della sua famiglia». 

L'accoglienza. Il figlio Pierluigi è già riuscito a entrare in sintonia con i piccoli. «Li faccio divertire, magari non dimenticheranno mai quello che hanno vissuto, ma almeno ora non ci pensano», dice il ragazzo che poi esorta tutti i suoi concittadini ad aiutare: «Accogliete queste persone se potete – afferma – non costa niente, ma per loro può essere importante per ritrovare un po’ di serenità». Intanto Zacarii si è avvicinato al bigliardino del circolo Menphis di Talocci gestito dalla famiglia Valzecchi, dove trascorrono il pomeriggio. Sta imparando a giocarci. Arsen è in braccio a Pierluigi, che dopo la carbonara del pranzo gli ha promesso la pizza per cena. Alla domanda: «Cosa farete adesso?», Miroslava non sa rispondere. Ha solo una speranza. «Che finisca presto tutto e possiamo tornare a casa da mio marito, mio figlio, mio genero e mia madre di 87 anni. Non è voluta partire. Sta lì e prega per noi». 

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