Alberto Sordi, Carlo Verdone: «Un immortale che sarà sempre icona di Roma». Domani il ventennale della scomparsa dell'attore

Il ricordo del suo “erede”: «Ha raccontato noi italiani»

Verdone: «Sordi un immortale che sarà sempre icona di Roma». Domani il ventennale della scomparsa dell'attore
di Gloria Satta
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Mercoledì 22 Febbraio 2023, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 09:05

Cosa resta di Alberto Sordi che se ne andava vent’anni fa, nella notte tra il 24 e 25 febbraio 2003, lasciando sbigottite la sua amata Roma e l’Italia intera? «La nostalgia di un tempo in cui avevamo ancora la leggerezza e la voglia di ridere, un sentimento oggi scomparso per colpa di crisi, pandemia, guerra. E l’immagine di una Roma poetica, spensierata, felice che purtroppo non esiste più». Carlo Verdone, 72 anni, unanimemente considerato l’erede di Albertone (ma lui ha sempre negato di esserlo), racconta il “suo” Sordi a cui lo legò il cinema, cioè i due film-cult interpretati insieme - In viaggio con papà del 1982, Troppo forte del 1986 - e un’amicizia vera durata oltre un quarantennio.

Perché, pur essendo stato incoronato dallo stesso Albertone, non si considera il suo erede?
«Abbiamo avuto un percorso diverso.

Lui è stato molto più in alto di me. Ha attraversato e raccontato mirabilmente decenni fondamentali per la storia del nostro Paese: il dopoguerra, la ricostruzione, l’euforia del boom. Ha intercettato i cambiamenti della società, l’esterofilia, il femminismo, la crisi degli anziani. Soprattutto, è stato e rimane l’icona di Roma: nessuno ha incarnato lo spirito e la cultura della Capitale meglio di lui».

Quale Roma ha rappresentato e amato?
«La città che un tempo trasmetteva emozioni, buone vibrazioni, autenticità, poesia. La Capitale di un Paese allegro, rassicurante, tutto sommato positivo. Oggi Sordi non riconoscerebbe questa Roma cambiata in peggio, diventata più aggressiva, cinica, trasandata».

Come vi eravate conosciuti?
«Sergio Leone, produttore di Bianco Rosso e Verdone, era convinto che il mio Furio, il marito insopportabile, sarebbe stato odiato dal pubblico. Così alla fine delle riprese organizzò una proiezione-test per i suoi amici. C’erano Sordi, Monica Vitti, il calciatore Falcao. Alla fine, Alberto e Monica si dichiararono entusiasti proprio di quel personaggio. E Leone lo lasciò nel film. Ma il primo vero incontro tra me e Sordi avvenne in casa di mia sorella Silvia e suo marito Christian De Sica».

Come andò?
«Organizzarono una cena sapendo che morivo dalla voglia di conoscere il grande attore. Io mi presentai armato di una foto di Alberto e un pennarello per chiedergli l’autografo. Lui mi disse “siamo colleghi” e scrisse sull’immagine: “Giudizio, Carlo, con tutto il mio paterno affetto”. Poi venne a cena con i miei genitori nella nostra casa di Lungotevere dei Vallati. Di lì a poco capii il significato dell’aggettivo “paterno”: nel film In viaggio con papà mi avrebbe affidato il ruolo di suo figlio».

Cosa ha imparato da lui?
«Il rigore estremo, la disciplina nel lavoro. Pur essendo due artisti molto diversi, abbiamo condiviso la stessa dedizione assoluta al lavoro. Quando si gira un film, la vita sociale s’interrompe: valeva per lui, vale oggi per me. Anch’io, come Alberto, ho sempre dato tutto al pubblico, togliendo tempo ed energia ai veri amici».

Oggi da chi o da che cosa Sordi si lascerebbe ispirare?
«Difficile rispondere. Nella sua lunga e straordinaria carriera ha raccontato tutto. Sulla scrivania della sua villa di Caracalla i copioni si ammucchiavano ma quelli che non gli piacevano lui li lasciava cadere sul pavimento con un tonfo. Se avesse oggi 80 anni e la voglia mai venuta meno di lavorare, difficilmente troverebbe l’ispirazione nella società attuale».

C’è il rischio che Sordi venga dimenticato?
«No. Come Totò, come Aldo Fabrizi, rimane una maschera immortale. Ha incarnato la superficialità e la vigliaccheria in cui noi italiani ci siamo rispecchiati e continuiamo a farlo. Qualcuno ha provato a imitarlo, ma senza successo. Alberto è unico, irripetibile».
 

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