Alberto Sordi, Enrico Vanzina: «Quella lingua così viva dell'ultimo Trilussa»

Lo sceneggiatore e regista spiega come Albertone, con le sue battute fulminanti e il suo modo di esprimersi, abbia influenzato il nostro linguaggio

Alberto Sordi, Enrico Vanzina: «Quella lingua così viva dell'ultimo Trilussa»
di Enrico Vanzina
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Giovedì 23 Febbraio 2023, 07:35 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 14:09

Solo due nostri grandi artisti del cinema hanno influenzato in maniera profonda il linguaggio degli italiani: il Principe de Curtis, in arte Totò e Alberto Sordi, l'Albertone nazionale. Ho avuto il privilegio di conoscerli tutti e due e di frequentarli. Insomma, di ascoltarli parlare dal vivo. Ma mentre "dal vivo" Totò era il Principe de Curtis, quindi garbato, elegante, italianissimo, Alberto Sordi, invece, era sempre e comunque Albertone. E in questi giorni, a distanza di vent'anni dalla sua scomparsa, il suo modo di esprimersi è ancora presente nel lessico di moltissimi italiani. Soprattutto di quelli, come me, nati e cresciuti a Roma. Riflettere sul modo di parlare di Alberto Sordi mi porta a fare una considerazione davvero stupefacente. Alberto, nel corso della sua lunga carriera, ha osservato, come nessun altro aveva mai fatto, gli italiani. Ha fotografato i loro tic, i loro vizi, le loro fragilità, il loro umorismo, le loro miserie e le loro (talvolta inconsce) grandezze. E qui succede il fatto stupefacente: Alberto ha copiato gli italiani ma il suo modello è diventato così forte che gli italiani hanno iniziato a copiare lui che copiava loro. Infatti tutti noi siamo cresciuti incontrando per strada, in viaggio, in vacanza, negli uffici, negli ospedali, migliaia di Alberto Sordi della vita reale.


LA MAESTRIA
In cosa consiste questo modo "alla Alberto Sordi" di parlare e di affrontare la vita? Sarebbe riduttivo dire che è il "modo romano".

Certo, le sue espressioni sono sempre colorate dal vernacolo e dall'umorismo romano, ma quelle di Albertone hanno qualcosa di diverso. Sono costruite sul suo modo di guardare la vita e gli altri.

 

Nel film Fumo di Londra, Alberto, nel film Dante, si trova a pranzo nel castello di una anziana nobildonna inglese. Lei gli chiede: «Dante lei preferisce i bambini o i cani?». E lui risponde alla domanda, proprio alla Sordi, con un'altra domanda dubitativa: «I bambini?...» le chiede fissandola. Lei non risponde e lui aggiunge subito affermativo: «I cani, i cani». Fantastico. Insomma, spesso più che le parole è il suo modo di usare il linguaggio a renderlo "sordiano". Pensate a modi di dire innocui tipo «ma chi te conosce», oppure «e statte zitto, e statte zitto», o ancora «Ada mia che brutta gente», o addirittura «e vattene, va...», in bocca ad Alberto sono modi di chiosare la vita in maniera contagiosa. A proposito di questa sua capacità naturale di rendere buffo il semplice, con densandolo con maestria, ogni volta che incontro Giovanna Ralli le ricordo una battuta del loro film Costa Azzurra.

Nel film Giovanna e Alberto, due fruttaroli romani, vanno in Francia perché un regista ha pensato a Giovanna come una possibile protagonista presa dalla strada di un suo film. Ma arrivati in Francia il regista, con gusti diciamo "particolari", sceglie lui al posto di lei. Alberto torna da Giovanna e schiaffeggiandosi il viso le comunica la notizia: «A Giovà, questa è la faccia da sfruttà!». Io e lei ci scompisciamo ancora oggi.


C'è un altro aspetto strepitoso nel modo di parlare di Alberto. Dette da lui anche le parolacce non sono mai volgari. Il famoso «io so' io e voi nun siete un cazzo» non suona volgare, suona come una massima di cinica saggezza esistenziale. Come l'urlo finale de La Grande Guerra dove l'invocazione ai morti è quasi liberatoria. Tutte frasi nelle quali Alberto dà spesso il meglio di se stesso. Penso a quando nel Borghese piccolo piccolo parla con il figlio del matrimonio e gli dice «che te vuoi mette un'estranea dentro casa?». Oppure al vigile romano in servizio a Milano che ripensando a Roma mentre dirige il traffico balbetta tra se «il Ghisa, il Duomo, il Panettun, ammazza che magone».


LA PARTITURA
Naturalmente la lista delle battutone di Alberto che fanno parte della nostra vita quotidiana sono tantissime: «Ammazza che fusto», «A me m'ha bloccato la malattia», «Hai una età ed è ora che tu sappia di chi sei figlio», «America me senti?», «Non facciamoci riconoscere», «Magna er pappone», «Lavoratori» (seguito da pernacchia), «Signorina Margherita», «Con chi parlo con chi parlo io», «Maccarone m'hai provocato», «Pensa a te e alla famiglia tua». «Boni, boni, state boni». È una meravigliosa partitura sinfonica di perle del nostro glossario corrente. Alberto Sordi non c'è più. Ma rimane eterno. Con i suoi film, con le sue straordinarie apparizioni in Tv (Kessler, Mina) e con la ricchezza linguistica che ci ha lasciato in eredità. Oso dire, con un senso di devota riconoscenza, che è stato l'ultimo Trilussa della nostra città.
 

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