Roma, le mille stagioni del Palazzo

Nel corso dei decenni la Roma della politica ha visto alternarsi diverse tendenze superando anche la più feroce antipolitica

Piazza Colonna e a destra palazzo Chigi
di Barbara Jerkov
5 Minuti di Lettura
Sabato 17 Giugno 2023, 08:42 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 07:07

E' il 3 febbraio 1871. L’Italia, da poco unita, stabilisce che la sua capitale sarà Roma, conquistata solo nel settembre precedente dal Regno d’Italia, decretando la fine dello Stato Pontificio. Da subito vengono scelte le sedi delle massime istituzioni: il Palazzo del Quirinale, residenza estiva del Papa, è destinato a Palazzo reale; a Palazzo Madama, già sede del Ministero delle Finanze pontificio, viene insediato il Senato; a Palazzo Montecitorio, già sede dei tribunali, la Camera dei Deputati, coprendo il cortile centrale per trasformarlo in un’aula grande abbastanza da contenere tutti gli eletti.

Il 2 luglio dello stesso anno re Vittorio Emanuele II fa il suo ingresso solenne nella città eterna per prendere possesso del Quirinale. Una rivoluzione compiuta in una manciata di mesi, sembra incredibile visto con gli occhi di oggi, pensare che un trasferimento di poteri così importante possa avvenire nell’arco di una stagione.

Ma la giovane Italia ha fretta, fretta di crescere, di correre per trovarsi alla pari con le altre grandi potenze europee. In pochi anni, la stessa pianta urbanistica della neo capitale viene stravolta. Per accogliere i nuovi inquilini dei palazzi istituzionali, arrivati in gran parte dal Nord Italia, viene realizzato un quartiere nuovo di zecca, quei Prati, al di là del Tevere, destinati a zona residenziale per i funzionari del Regno.

L'impianto urbanistico 

L’impianto urbanistico è accuratamente studiato così che la cupola della basilica di San Pietro non incomba sui nuovi boulevards: un messaggio politico chiaro diretto alla Santa Sede, con cui i rapporti sono ancora difficili e tali resteranno fino alla firma dei Patti Lateranensi. E per essere ancora più chiari, l’amministrazione capitolina sceglie di battezzare quelle vie con nomi di personaggi storici della Roma repubblicana e imperiale, eroi del Risorgimento, rivoluzionari come quel Cola di Rienzo, il popolano romano che nel XIV secolo provò a ripristinare la repubblica a Roma. A Roma tutto è politica, insomma, anche i nomi delle piazze e dei viali. Oggi che si sente parlare del “Palazzo” con tono dispregiativo, come luogo del potere per il potere, si dimentica quanto l’Urbe sia cresciuta e si sia formata intorno alle istituzioni del Regno prima, e della Repubblica oggi. Tra il Quirinale (sede del presidente della Repubblica), palazzo Chigi (sede del governo), palazzo Montecitorio (Camera dei deputati) e palazzo Madama (Senato), ci sono poche centinaia di metri. Un quadrilatero istituzionale che rappresenta la cittadella della Repubblica. Una coesione anche topografica che ora la riforma dell’autonomia vorrebbe spezzettare in nome del nordismo (nonostante i proclami per cui «conviene anche al Sud»), incurante dei danni che - oltre a tutto il resto - provocherebbe alla macchina dello Stato dover inseguire competenze in giro per l’Italia, traslocando uffici e personale. Impensabile e ingiustificabile. Ma il fatalismo dei romani, basato su un paio di millenni di esperienza, ha insegnato loro che l’Urbe è più salda e resiliente dei suoi assalitori.

Il vento dell'antipolitica

Nel corso dei decenni le strade e le mura della Roma delle istituzioni hanno visto alternarsi grisaglie e minigonne, auto blu e ministri in scooter. Perfino un presidente della Camera in autobus per raggiungere il suo ufficio a Montecitorio (una volta, per la prima seduta, debitamente immortalato dai fotografi: poi, ovviamente, è passato all’auto di servizio pure lui). Parliamo del grillino Fico, massimo esponente istituzionale di quel movimento che con il suo leader ex comico si era dato come obiettivo quello di aprire la Camera dei deputati «come una scatoletta di tonno». È finita come tutti sanno, con una buona dose di poltrone ministeriali, incarichi di sottogoverno eccetera eccetera, seguiti da scontri, liti, scissioni. Mentre naturalmente Montecitorio è sempre lì com’è sempre stato, nei secoli fedele. È stata dura, ed è dura, per i palazzi istituzionali, resistere al vento dell’antipolitica che puntuale li travolge ogni pochi anni. Il «Palazzo», appunto. Dopo quei “piemontesi” del 1871, i “nuovi” sono arrivati a ondate. I fascisti decisi a chiarire subito che per loro il Parlamento non aveva proprio nessuna sacralità, quando Mussolini nel famoso discorso del novembre 1922 annunciò la formazione del suo governo: «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto».

Con il dopoguerra e la Costituente entrano in quei saloni per la prima volta le donne, altra rivoluzione. Nei primi anni ‘90 del secolo scorso è la bufera di Mani pulite a soffiare spazzando via un’intera classe politica. I leghisti arrivano tuonando «Roma ladrona», giurano che non si lasceranno sedurre dalla tentacolare Capitale del potere, girano sempre in drappelli compatti, anche a cena, a scanso di tentazioni. Oggi, trent’anni dopo, sono senz’altro più a loro agio. Comunque. Finisce la prima Repubblica, inizia la seconda. Gli inquilini del Palazzo hanno volti nuovi, molti sono stati eletti per la prima volta, si ironizza sul doppiopetto d’ordinanza di Berlusconi e sul drappello di imprenditori che ha portato a palazzo Madama e Montecitorio al posto della vecchia classe politica. Molti (molte) sono giovani e smart, e come il loro premier non amano le liturgie della politica che un po’ non conoscono e un po’ ritengono una perdita di tempo. Nuovo, nuovo, nuovo. È la parola d’ordine. Colpisce a destra e a sinistra. Un premier del Pd, Renzi, si inventa la definizione di «rottamatore» e si presenterà qualche anno più tardi al Quirinale per le consultazioni con il capo dello Stato in Smart, twittando dall’anticamera della Presidenza della Repubblica. Dei pentastellati abbiamo già detto. Tutti decisi a cambiare la Roma delle istituzioni, mentre poi (fortunatamente) sono le istituzioni a cambiare loro. Perché le istituzioni e le loro procedure apparentemente complesse, sono la garanzia che il sistema democratico si è dato. Da fuori non si capisce, ma basta entrarci dentro per capirlo. Roma Capitale lo sa. È successo a tutti, succederà ancora. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA