Covid, perché ci si contagia: decisivi carica virale e gruppo sanguigno

Covid, perché ci si contagia: decisivi carica virale e gruppo sanguigno
di Graziella Melina
4 Minuti di Lettura
Domenica 25 Ottobre 2020, 01:28 - Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 20:46

Per evitare il contagio dal Sars Cov 2 le misure di precauzione sono prioritarie. Spesso però una buona mano la può dare anche la combinazione di fattori che ci portiamo in dote dalla nascita. Dopo mesi di osservazione dei casi clinici e delle analisi di laboratorio, gli scienziati finalmente stanno venendo a capo non solo dei meccanismi che danno vita all’infezione, ma anche dell’enigma legato alla carica virale, che a volte, seppure alta, lascia l’organismo indenne.

LEGGI ANCHE --> Ricciardi: «Il coprifuoco non serve, meglio i lockdown locali»

Come spiega Massimo Andreoni, direttore clinica malattie infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali), tutto dipende infatti dall’ospite. “Ci sono persone che eliminano molto virus e altre che ne eliminano poco.

Mediamente i soggetti malati, quelli cioè sintomatici, eliminano più virus degli asintomatici”. E quindi, in generale, sono più contagiosi. In realtà, nel rebus del contagio, bisogna invece considerare diverse variabili. “Se è vero infatti che mediamente il più pericoloso è un soggetto sintomatico, rispetto a un asintomatico, questa non è però una regola assoluta. Esistono delle eccezioni, come nel caso dei super spreader, cioè dei supereliminatori, che sono asintomatici”. 

Sempre in linea generale, il rischio di contrarre la malattia dipende dalla carica virale. “Quanto più una persona ne riceve, mediamente è più probabile che diventi un sintomatico”. Ma la correlazione tra carica e sintomi non è così scontata. “Una persona con alta carica virale - precisa Andreoni - mediamente tende a essere più grave, ad avere più sintomi” Ma non è una regola assoluta, “tanto è vero che si segnalano anche casi con bassa carica virale ma con sintomi. Ma anche il contrario”. Non c’è dubbio, però, che più Sars Cov 2 si fa entrare nell’organismo, maggiore è il rischio che poi il virus sia dannoso. “Certamente la carica infettante è importante perché, a parità di condizioni immunitarie, chi riceve una carica virale alta avrà maggior possibilità di avere un virus che replica tanto”. I luoghi chiusi affollati sono infatti i più rischiosi. “Lì la carica virale tende ad essere maggiore proprio perché si concentra, all’aperto invece si disperde nell’aria”.

Ma non è solo una questione di quantità. La vera partita la gioca il sistema immunitario. La gravità del Covid “non dipende solo dalla quantità del virus che entra nell’organismo e dà poi la carica virale, ma anche da quanto quell’organismo permette al virus di replicare”. Perché poi il meccanismo non varia: “quanto più quel virus replica, tanto più quella persona formerà molta carica virale”. Che il sistema immunitario sia un valido alleato, lo dimostrano i più piccoli. Infatti, “non solo hanno una quantità inferiore di recettore Ace2, le porte di ingresso del virus nella cellula”, ma dispongono di “un’immunità innata che protegge in maniera generale da tutte le malattie pur non essendo specifica”.

E allora a fare la differenza sui possibili danni per i contagiati non è certamente il Sars Cov 2, che comunque non è per nulla cambiato, quanto le condizioni di chi si ritrova ad ospitarlo. “Una persona con immunodeficienze o con molte fragilità - rimarca Andreoni - pur avendo una carica virale bassa, può essere sintomatico. Per contro, una persona giovane che sta bene, pur avendo una carica virale alta, non presenta manifestazioni. Il gioco si fa sempre con due elementi in campo: quanto virus ti colpisce e qual è la tua condizione in quel momento”.

Ma, a complicare le cose, o anche a migliorarle, possono intervenire fattori non legati né all’età, né alle condizioni di partenza dell’ospite. In effetti, precisa Andreoni, “ci sono persone più predisposte ad infettarsi e persone meno, così come possono esserci soggetti che una volta infettati hanno più facilità a sviluppare la malattia e altri invece no”. E la risposta all’enigma stavolta va cercata nel bagaglio genetico di ciascuno. “La variabilità genetica, tra cui il gruppo sanguigno - precisa infatti Andreoni - ha un ruolo importante su quella che può essere la probabilità di sviluppare una malattia oppure no. Ma ricordiamo sempre che in medicina non esiste nulla di assoluto”. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA