«Solo ferito?». La domanda sui social di quartiere irrompe fragorosa come una bomba. Risuona sul web come i fuochi d'artificio esplosi in cielo sopra le "Torri" alle nove di martedì sera, a poche ore dal tentato omicidio di don Antonio Coluccia. Non una coincidenza secondo chi abita a Tor Bella Monaca, ma l'ennesimo gesto di affermazione di potere da parte dei clan che qui hanno messo radici e non sono per nulla intenzionati a mollare il territorio nemmeno davanti alle divise di carabinieri e polizia, figuriamoci di fronte alla tunica di un prete armato di un megafono e solo tanta fede. Il quartiere, ingrato, volta le spalle a don Coluccia. Una parte lo schernisce apertamente e festeggia, un'altra invece di scendere in strada a manifestare per cacciare via delinquenti e spacciatori, se ne resta ferma, rintanata nelle proprie case, al riparo da qualsiasi rischio. Pecore con i leoni. Atterriti, impauriti, i residenti «per bene» temono ritorsioni, preferiscono non avere guai, oppure sono, ormai, semplicemente rassegnati e indifferenti.
LA DOMANDA
«Solo ferito? È il commento duro, tranchant, che appare sotto il post che chiede che cosa fosse successo in via dell'Archeologia, martedì pomeriggio, vista la massiccia presenza delle volanti di polizia. Qualcuno aveva tentato di uccidere, investendolo con il suo scooter il prete anti-spaccio che gira per le periferie difficili urlando ai pusher di smetterla con il veleno della droga, «il grande cancro di Roma» come ha sempre ripetuto.
I ragazzi di strada stile Gomorra che si sentono padroni delle "Torri" agiscono arroganti e spavaldi.
Don Coluccia: «So di dare fastidio ai clan, ma torno a Tor Bella Monaca. C’è brava gente da salvare»
«NON È SUCCESSO NULLA»
Sull'asfalto di via dell'Archeologia proprio nel punto dove i poliziotti hanno sparato contro il ventottenne per fermarlo, c'è il casco di una moto. Accanto ciondolano ragazzi che fanno fatica a reggersi in piedi, stravolti dalla droga, e non è nemmeno l'ora di pranzo. Altri sono seduti sui muretti, tatuaggi dappertutto. I palazzoni fanno ombra alle strade e ai marciapiedi invasi dai rifiuti raccolti giusto dai rom armati di passeggini.
Gli spacciatori che don Antonio cerca di strappare via alle organizzazioni criminali sono lì puntualmente al loro posto, chi a fare da vedetta, chi a controllare l'hashish e la coca nascosti tra i rovi dei cortili e nelle cantine. Guardano i giornalisti passare e sghignazzano. Negli sguardi di qualcuno c'è odio, perché il clamore rischia di rovinare i loro affari, tanto quanto la presenza stessa del prete-coraggio. Altri rispondono con aria di sfida: «Ma non mica è successo niente, un problema loro, tra quello e il prete. Fatti loro».
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