Quanti romani sani rinchiusi in manicomio

Quanti romani sani rinchiusi in manicomio
di Pietro Piovani
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Giovedì 1 Giugno 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 08:15
#UnMattoAlGiorno Rocco aveva 15 anni quando venne internato a Santa Maria Della Pietà a Roma. La sua colpa? Chiedeva l’elemosina suonando
@erolaGea1



Chi non ha voglia di piangere non si avvicini neppure al libro “Avevo solo le mie tasche”. A tutti gli altri invece è caldamente consigliata la lettura di questa breve, disordinata, straziante autobiografia scritta da Alberto Paolini, un romano nato nel 1932, rimasto senza genitori a 11 anni e rimpallato tra collegi e orfanotrofi, accolto in casa di ricchi «benefattori» che cercavano un bambino da adottare ma che poi - delusi dal carattere introverso del povero ragazzino - lo hanno rimandato indietro e infine sistemato nell’unica struttura in grado di ospitarlo in una Roma con tanti orfani e pochi servizi sociali: il manicomio.

L’aspetto forse più inquietante di questa storia è che la tragedia di Alberto è uguale a quella di molti altri romani rinchiusi a Santa Maria della Pietà non perché affetti da una vera patologia psichiatrica ma per un colpo di sfortuna. Oltre al libro di Paolini, sull’argomento meritano di essere letti anche i fulminanti racconti postati su Twitter da @erolaGea1 (l’hashtag è #UnMattoAlGiorno): biografie di persone normali finite in manicomio perché la loro vita ha preso una svolta sbagliata, e non solo negli anni del fascismo e del dopoguerra, ma anche in epoca abbastanza recente.

A chiunque di noi sarebbe potuto capitare un destino come quello di Alberto Paolini, certificato “persona pericolosa” dopo una sommaria visita medica, anche per la testimonianza di una suora che confermava «sì, è un caso grave, infatti ha rifiutato di prendere la Comunione», trattato con l’elettroshock all’età di quindici anni, e poi costretto a passare quasi tutta la sua esistenza in un ospedale psichiatrico.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
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