Da oggi i feti sepolti nei cimiteri capitolini non riporteranno più il nome della donna, ma esclusivamente un codice alfanumerico associato ad un protocollo. È la svolta approvata oggi dall'Assemblea Capitolina per tutelare la privacy delle donne che hanno deciso di abortire. Una decisione molto attesa che nasce da quanto avvenuto nel 2020, quando una ragazza - Marta - denunciò la presenza del suo nome su una croce nell'area dedicata ai feti nel cimitero Flaminio. Ne nacque una campagna mediatica che ha portato il Campidoglio alla modifica del Regolamento di polizia cimiteriale datato 1979, ben 43 anni fa. Ad oggi - si legge in una nota di Palazzo Senatorio - l'inumazione di prodotti abortivi (20/28 settimane) e dei feti (più di 28 settimane) è automatica e viene disposta nelle medesime aree dove vengono sepolti i bambini nati morti. I prodotti del concepimento - sotto le 20 settimane - vengono invece inceneriti d'ufficio.
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Feti, modificati due articoli
In particolare, con il provvedimento approvato oggi si modificano gli articoli 4 e 28 del Regolamento disponendo che la donna o gli eventuali aventi diritto possono optare per l'inumazione o per la cremazione dei prodotti del concepimento, dei prodotti abortivi e dei feti.
Feti, approvazione in aula
Dopo mesi di confronto con l'assessora Alfonsi e le associazioni siamo arrivati all'approvazione in aula della modifica al regolamento cimiteriale. Oggi Roma ha aggiunto un tassello fondamentale nel mosaico della civiltà e dei diritti». «Con l'approvazione di questa proposta viene modificato un Regolamento ormai datato - spiega l'assessore all'ambiente Alfonsi, da cui dipendono i servizi cimiteriali -, così come oggi risulta obsoleto il quadro legislativo nazionale di riferimento.
Una battaglia di civiltà, che abbiamo portato avanti in difesa del diritto di scelta delle donne che interrompono la gravidanza di dare sepoltura o richiedere l'incenerimento dei prodotti abortivi o dei feti, con la più ampia possibilità di decidere e in totale riservatezza». Un provvedimento, conclude Alfonsi, che tutela «la privacy delle donne» e impedisce «il ripetersi di fatti drammatici come quello accaduto al Cimitero Flaminio due anni fa».