Maddalena Urbani, morta per un mix di droghe: il pusher condannato a 14 anni di carcere, la procura ne aveva chiesti 21

I giudici, inoltre, hanno inflitto 2 anni a Kaoula El Haouzi, amica della Urbani, riformulando l'accusa in omissione di soccorso

Maddalena Urbani, morta per un mix di droghe: il pusher condannato a 14 anni di carcere
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Lunedì 24 Ottobre 2022, 14:37 - Ultimo aggiornamento: 17:26

Quattordici anni di carcere per il pusher che per 15 ore, il tempo in cui Maddalena Urbani è stata in agonia, non allertò i soccorsi per tentare di salvare la 21enne, figlia del medico Carlo Urbani che per primo al mondo isolò la Sars, morta nel 2021 a causa di un mix di droga e farmaci a Roma. I giudici della prima Corte d'Assise, dopo oltre quattro ore di camera di consiglio pur riconoscendo per lo spacciatore di origini siriane, Abdulaziz Rajab le attenuanti generiche hanno riconosciuto valido l'impianto accusatorio della Procura per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale. La corte ha invece derubricato in omissioni di soccorso l'accusa per l'altro imputato, Kaoula El Haouzi, amica della Urbani, per la quale sono stati disposti due anni di carcere. In favore delle parti civili stabilita una provvisionale complessiva di 170 mila euro. Nei confronti del pusher il pm Pietro Pollidori aveva chiesto una condanna a 21 anni.

I legali: Maddalena si poteva salvare

Alla lettura della sentenza Giuliana Chiorrini, la madre della vittima, presente in aula assieme ad uno dei fratelli di Maddalena, è scoppiata in lacrime. «Ciò che interessava alla famiglia era sapere quello che è accaduto in quella casa - hanno commentato i legali, Giorgio Beni e Matteo Policastri -.

Il processo ha accertato che se soccorsa la ragazza si sarebbe potuta salvare. Gli imputati hanno avuto 15 ore per allertare il 118 ma lo hanno fatto quando era già morta». Nessuno, per ore, ha mosso un dito per evitare il drammatico epilogo. La vicenda risale al 27 marzo dell'anno scorso. «L'istruttoria dibattimentale ha confermato - aveva detto nel corso della requisitoria il pm - della scelta dell'imputazione». Maddalena era arrivata nell'appartamento di via Cassia, dove è poi è morta, da Perugia, città dove viveva da alcuni anni. Il corpo privo di vita della ventenne venne trovato dopo una segnalazione al 118. Ad ucciderla anche un abuso di oppiacei e l'assunzione di metadone. L'appartamento, in condizioni fatiscenti, era occupato dal 64enne cittadino siriano che si trovava agli arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti. La perquisizione della Polizia portò al rinvenimento di alcune dosi di eroina, metadone e un mix di psicofarmaci.

La ventenne, a causa delle sostanze, si sentì male quasi subito e perse conoscenza, crollando a terra. «Ricordo di averla distesa sul letto e di averle praticato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca - ha raccontato uno dei testimoni, un operaio di origini romene, nel corso del processo davanti alla prima Corte d'Assise -. Avevo imparato queste tecniche dalla tv e da un corso di primo intervento in cantiere. Ricordo che la ragazza si riprese, di fatto l'ho fatta resuscitare». Ad allertarlo era stato il pusher. «Rajab mi ha chiamato sul cellulare - ha spiegato il teste - era molto agitato, nel panico, perché una ragazza che era a casa sua era svenuta. Dopo che la ragazza si è ripresa ho consigliato a Rajab di allertare il 118 ma il giorno dopo ho sentito dai notiziari quello che era successo». Secondo i consulenti della Procura, una tossicologa e un medico legale, la ragazza morì per una overdose ma poteva essere salvata in quanto fu colta dal malore intorno alle ore 20 del 27 marzo ma l'ambulanza venne chiamata solo alle 13 del giorno dopo, a distanza di circa 15 ore.

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