Cesare Mirabelli: «Le trappole della democrazia diretta»

Cesare Mirabelli: «Le trappole della democrazia diretta»
di Stefania Piras
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Domenica 9 Aprile 2017, 10:06
Presidente se le dico democrazia diretta lo ritiene un percorso credibile?
«Serve una premessa costituzionale», risponde il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli: «la Carta all'articolo 1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei modi e nei limiti previsti. Questo per dire che la sovranità popolare non dilaga, non potrebbe ad esempio toccare i diritti fondamentali. La Costituzione prevede uno strumento di democrazia diretta ed è il referendum ma solo come abrogativo per eliminare leggi adottate dal Parlamento e non per introdurre nuove discipline».

Intravede dei rischi?
«Un rischio c'è: la democrazia diretta non può essere contrapposta in alcun modo alla democrazia rappresentativa che è alla base del sistema, perché per decisioni complesse la democrazia rappresentativa consente una discussione, un approfondimento e una rettifica di posizioni. La democrazia diretta si esprime con un si o con un no, ha un'espressione binaria e può determinare equivoci in rapporto alla domanda posta, che deve essere chiara a univoca».

In un eventuale percorso di applicazione di democrazia diretta quali cautele si dovrebbero adottare?
«Se è consultiva, di indirizzo, ha un rilievo. Ma rimane comunque compito dell'organo rappresentativo, dell'istituzione conformarsi al risultato di quella consultazione nelle sue indicazioni generali. Se è deliberante il rilievo è diverso e le cautele devono essere maggiori. A Roma hanno proposto petizioni collettive ma il diritto di petizione è già garantito dalla Costituzione: sottopone un problema o una richiesta individuale o collettiva alle istituzioni rappresentative. E non mi sorprenderebbe se fosse realizzato anche con tecnologie informatiche. Diversa la situazione se è una manifestazione di volontà popolare che ha l'effetto di adottare una deliberazione positiva. Quando ha un valore deliberativo si deve avere la certezza dell'identificazione di coloro che partecipano al voto. Assistiamo in questi giorni a polemiche su un'attività non normata come le primarie, figuriamoci nell'ipotesi di un corpo elettorale vasto. Il voto deve essere libero e segreto e quindi noto l'individuo che partecipa alle votazioni ma non identificabile il voto che esprime. E non ci deve essere nemmeno il rischio di voto multiplo».

Il referendum senza quorum non esiste in Italia, comunque.
«No, e il quorum nel referendum abrogativo esiste perché opponendosi a una decisione presa dal Parlamento la partecipazione deve avere una sua consistenza. La partecipazione dei cittadini intesa come tale ha bisogno di norme, di regole che al momento non esistono. Attenzione a considerare salvifica la democrazia diretta».

Perché?
«Perché se mal congegnato c'è il rischio di deriva peibiscitaria, una consultazione secca che ratifica decisioni gia prese dal vertice politico come accade in annessioni territoriali, decisioni già prese. La attuale sollecitazione verso la democrazia diretta manifesta l'intenzione di avere un nuovo canale di rapporto tra cittadini e istituzione ma attenzione perché la semplificazione potrebbe essere tale da non rappresentare un progresso. La democrazia è un congegno molto delicato perché presuppone capacità di scelta ma anche una diffusione della conoscenza dei temi, discussione e ponderatezza».