E' rimasto scottato, anche se non lo ammette, dal disastro in Liguria. «In direzione - spiega il leader - ci sarà un dibattito vero ma chiederò lealtà nei comportamenti perchè servono delle regole di condotta per tutti quelli che stanno in una comunità». Oppure: «No all'anarchia della sinistra». E anche: «Basta spaccare tutto o sarà la fine del Pd». Fuoco e fiamme al Nazareno, domani sera, non le vuole lui e non le vogliono i suoi oppositori interni. Ma si sa queste riunioni come vanno: possono sfuggire di mano sia a lui sia a loro. E comunque, quando Renzi dice, come ha fatto ieri, che «ci vuole ancora più riformismo e che il cambiamento deve andare avanti ancora più veloce», ciò non suona rassicurante per Bersani, per Fassina e per gli altri.
LE MINE
Non arretra dalle sue posizioni polemiche ma allo stesso tempo Renzi cerca di sminare il terreno - in nome dell'unità - per la legge sulla scuola appena arrivata al Senato e su cui nelle prossime settimane bisognerà votare. Il premier, anche se non lo dice, è ovviamente preoccupato dai numeri assai risicati su cui la maggioranza soffre a Palazzo Madama. «Si può sbagliare e anch'io - concede il premier-segretario - ho sbagliato sulla scuola ma non sulla legge elettorale». Dunque farà modifiche vere, e non solo di facciata, sulla riforma della scuola, su cui in commissione sono piovuti oltre duemila emendamenti e Forza Italia non sta dando sponde e l'elettorato Pd ha mostrato di mal digerirla se è vero che alle regionali molti voti persi dai dem derivano dall'antipatia verso il ddl #labuonascuola? Cerca di ammorbidirsi Renzi su questa materia: «Correggeremo gli errori che abbiamo fatto sulla scuola». Come?
Il governo starebbe studiando una serie di modifiche del tipo: per i presidi, resi più forti dalla legge («Renzi vuole il preside sceriffo e dittatore», è la propaganda della sinistra anti-Matteo), non più di due mandati (sei anni) nello stesso istituto; valutazione di merito degli insegnanti soltanto in via sperimentale; e novità in tema di assunzione dei precari. Questo basterà a smussare gli ardori della minoranza Pd e del mondo sindacale sulle barricate e tutt'altro che ben disposto? Renzi su un punto è fermo: «Non cederemo a chi» - e sta parlando dei sindacati e del goscismo in generale - «dall'alto delle proprie rendite di posizione pensa che la scuola sia intoccabile».
Per ora, la verifica in direzione. Dove Renzi svilupperà alcuni dei punti anticipati ieri. Il Pd - dirà il segretario al Nazareno - «numericamente ha vinto» (ma l'astensionismo spaventa). E ancora: «Io non cerco alibi e non mi assolvo», è la premessa di Matteo. Il quale però pretende un cambio di atteggiamento da parte della sinistra interna, e di Cofferati e di Civati e di quelli come loro. Spiega: «C'è una sinistra che testimonia ma non vince», che si crede migliore ma non «rispetta le regole» e non capisce che «oltre il Pd, c'è Salvini e non Landini».
TERAPIA DI GRUPPO
Il Renzi che affronta la direzione è un leader che vorrebbe andare avanti senza ulteriori strappi. Ma chissà. Scherza da Genova: «Fino ad una settimana fa eravamo alla dittatura autoritaria ora siamo alla terapia di gruppo». Dalla quale si aspetta una cosa: «Bisogna capire che non si può andare avanti con una sinistra che rimpiange un passato che non c'è più». E affonda il colpo contro Civati, contro Fassina fuoriuscito in pectore, contro posizioni alla Camusso la quale ha invitato (lei smentisce) di votare scheda bianca in queste regionali e contro ogni mitologia da Podemos: «Due sinistre opposte, una che si crede più sinistra e perde e una riformista e di governo, cioè la nostra, l'unica che vince in Europa non possono più convivere sotto lo stesso tetto». E comunque fa il magnanimo: «Io non seguirò la richiesta delle tante mail che mi arrivano e mi dicono di cacciarli tutti». Il campo di battaglia è pronto. Appuntamento a domani.