Usa 2016, sfida tra due Americhe: con Donald i bianchi antisistema, per Hillary le élite e le minoranze

Usa 2016, sfida tra due Americhe: con Donald i bianchi antisistema, per Hillary le élite e le minoranze
di Mario Del Pero
5 Minuti di Lettura
Sabato 5 Novembre 2016, 13:38 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 20:23

È un'America spaccata, quella che si appresta a scegliere il/la suo/a futuro/a Presidente. Le linee di frattura sono varie. I loro effetti politico ed elettorali risultano visibili come raramente nella storia recente degli Stati Uniti, con due campi rigidi e impermeabili, indisponibili al dialogo e mobilitati primariamente dall'ostilità alla controparte.
Le responsabilità non possono essere equamente distribuite. A prescindere dalle simpatie o antipatie, durante questa interminabile campagna elettorale Hillary Clinton si è distinta per civiltà e preparazione rispetto all'avversario. Così come maggiori sono le responsabilità della leadership repubblicana, che contro Obama ha mosso una guerra senza quartiere, flirtando pericolosamente con un estremismo dal quale è stata in ultimo fagocitata.

LE MATRICI
La radicalità e bruttezza dello scontro odierno origina però anche da fattori che pre-datano Trump e in una certa misura Obama stesso: da divisioni che, plurime nelle loro matrici ed espressioni, convergono nel produrre la polarizzazione elettorale. Quali sono queste matrici e come agiscono? Per convenienza, possiamo raggrupparle, semplificandole, in quattro grandi categorie.
La prima è rappresentata dalla geografia. La mappa elettorale ci mostra una prima, visibile polarità: due coste, assai più liberal e cosmopolite, solidamente in mano democratica; un cuore del paese dove Trump vincerà con 20-30 punti di scarto; un numero limitato di stati in palio, collocati nel vecchio cuore post-industriale del Midwest o in aree maggiormente toccate da trasformazioni nelle quali ha pesato l'immigrazione. Questa prima divisione deve però essere integrata da altre, la più importante delle quali è lo scarto tra le scelte elettorali delle aree metropolitane e quelle delle zone rurali o esterne alla cinta suburbana.

CULTURE DIFFERENTI
Pesano su questo stili di vita e culture differenti. E incide la diversa composizione delle due popolazioni. In quella urbana si è formata negli ultimi anni una sorte di asse elettorale pro-partito democratico, tra professionisti con livelli alti e medio-alti di reddito e istruzione e minoranze spesso impiegate in un terziario a bassa qualifica. È una divisione, questa, molto marcata anche in stati che si schierano solidamente da una parte o dall'altra: nel 2012, il candidato repubblicano Mitt Romney vinse in Texas con 16 punti di scarto, ma perse di 15/20 punti nelle contee di alcune delle più importanti città texane; Obama conquistò con facilità lo stato di New York, ma fu sconfitto spesso con 20/30 punti di scarto in diverse contee rurali.
Pesa il diverso mix etnico e razziale dell'elettorato. E questo ci porta al secondo fattore di divisione, particolarmente visibile ora: la razza. A contrapporsi sono sempre più un partito omogeneamente bianco, quello repubblicano, e uno dove le minoranze sono chiaramente sovra-rappresentate, quello democratico. Dopo la sconfitta elettorale del 2012, i repubblicani produssero varie analisi auto-critiche nelle quali si sottolineava la necessità di abbandonare le politiche rigide del passato che allontanavano l'elettorato non-bianco. In quelle elezioni, il voto bianco era andato 59 a 39 a Romney, ma Obama era riuscito comunque a vincere grazie alle minoranze. La svolta repubblicana non vi è però stata, e la spaccatura si è ulteriormente accentuata.

LE DUE IDEE
A confrontarsi, come si è ben visto in questa campagna elettorale, si sono trovate non solo due Americhe, ma due idee d'America. Il fronte filo-Trump ha cercato di mobilitare il peso della storia contro il vento della storia. Alle trasformazioni di lungo periodo, in virtù delle quali la popolazione bianca ha visto decrescere il proprio peso relativo si è contrapposto un discorso identitario centrato sull'idea di un'America delle origini oggi in pericolo. Lo slogan di Trump, «rendere di nuovo grande l'America», così come gl'incessanti riferimenti a un testo costituzionale de-storicizzato, a ciò in fondo rimandano: all'idea di un'intrinseca essenza statunitense che la trasfigurazione del paese minaccia. È un messaggio, questo, dalle forti tinte razziali. All'evoluzione verso un ancor più marcato pluralismo razziale, etnico, linguistico e religioso si contrappone una concezione statica di un'America bianca e cristiana (o giudeo-cristiana) alla quale ci si deve conformare o piegare. Trump vi dà voce in modo estremo e quasi caricaturale, con la sua islamofobia e le sue irrealizzabili proposte sull'immigrazione.
Un terzo fattore è il quadro internazionale e il rapporto con esso. Il nazionalismo anti-globalista di Trump riflette una relazione problematica con un mondo al cui centro gli Usa si collocano, ma del quale pezzi importanti di Stati Uniti ancora cui diffidano apertamente. Un mondo le cui dinamiche investono profondamente queste Americhe. E un mondo che in una narrazione storicamente assai popolare abuserebbe dell'ingenuità degli Usa: della loro incapacità di confrontarsi con le brutali logiche di una politica di potenza, che altri Russia, Cina, Iran - padroneggerebbero invece con cinismo ed efficacia. Trump promette di rispondere finalmente in modo adeguato e, se chiamato a farlo, addirittura di separarsi da questo mondo. In modo non dissimile dall'Europa, questo tipo di messaggio fa leva su una diffusa ostilità all'establishment politico ed economico nella quale agisce un anti-cosmopolitismo che prende di mira quelle élites si pensi alla grande finanza che invece le dinamiche d'integrazione globale padroneggiano e sfruttano.

IL BASSO REDDITO
E questo ci porta alla quarta e ultima dimensione, che per semplicità potremmo definire sociale e culturale. Una lettura centrata sull'idea che il sostegno a Trump giunga primariamente da elettori con bassi livelli di reddito e istruzione è stata in parte ridimensionata. Le differenze economiche come fattore fondamentale nell'orientare le scelte di voto sembrano essersi fatte negli anni meno rilevanti. In una realtà dove la centralità del lavoro industriale è venuta meno, le matrici economiche delle scelte elettorali e di affiliazione partitica sono state integrate, e talora sostituite, da altri fattori. Temi a forte mobilitazione identitaria come ad esempio l'aborto o per un lungo periodo i diritti degli omosessuali hanno occupato la scena, saturando lo spazio politico in entrambi partiti. E sono diventati spesso i parametri decisivi nell'orientare scelte di voto che possono essere talora apertamente in contrasto con i propri interessi.
È pensabile che queste fratture possano essere almeno in parte ricomposte? Questo ciclo elettorale pare dirci di no e il rischio fortissimo, soprattutto in caso di una vittoria di misura di Hillary Clinton e di un Congresso ancora repubblicano, è che al voto segua un'ulteriore accentuazione di conflitto e polarizzazione.