Hillary, i segni della sconfitta: «Volevo barricarmi in casa»

di Marina Valensise
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Venerdì 18 Novembre 2016, 00:29
C’eravamo abituati ai tailleurini pantalone in tinta unita, al sorriso da conquistatrice, la messa in piega di ordinanza, il trucco impeccabile, gli occhi vivi, combattivi, con le pupille azzurre roteanti in cerca di consensi, e quella piega trionfale della bocca larga, con le labbra carnose e l’arcata dentale perfetta.

E anche il ditino sempre alzato… E invece eccola qui Hillary Clinton, nella sua verità di politica sconfitta. Capelli in disordine, pettinati alla come viene viene, le rughe profonde, senza più lo schermo del fondotinta e delle luce inclinate ad hoc, il volto, con la pelle di guance, collo e fronte cadenti, in balia di collasso, senza più gli argini della cosmesi, delle punturine di vitamine a tenerle su, e quei grandi occhi azzurri ormai spenti, smarriti, con lo sguardo opaco, imbottito nelle occhiaie gonfie forse di sedativi, sicuramente di pianto, mentre l’indice della mano, che fino a pochi giorni fa si impennava orgoglioso come il segno del comando, dell’assertività, e di una pedagogia civile permanente, adesso esita lungo la guancia, come se dovesse significare l’incertezza, il senso di vuoto, lo sgomento, cercando di nascondere persino una lacrima. 

La politica non perdona. Se è l’arte del possibile, è anche l’agone di una battaglia violenta, senza esclusioni di colpi, per la conquista del potere; una battaglia fatta di tiri mancini, attacchi continui, pugnalate alla schiena. Non lo sapeva Mrs Clinton, che la politica è tutto questo? Violenza, inganno, sopruso, vendetta, tremenda vendetta? Possibile che proprio lei, la secchiona, la studentessa modello, l’avvocato scaltro e di successo, la first lady ambiziosa di potere, la senatrice, il ministro degli Esteri, da sempre in corsa per la Casa Bianca, abbia dimenticato la lezione di Machiavelli, che è poi quella dei drammi di Shakespeare e del teatro elisabettiano?

Forse lo statuto quasi regale di donna candidata del partito democratico, di presidente in pectore per via dinastica e diritto divino, in quanto moglie di un ex presidente, di segretario di Stato nell’amministrazione del primo presidente americano di colore, l’hanno fatta planare sull’essenza della politica e sulla realtà effettuale delle cose, senza permetterle di scoprire la tremenda scia sanguinolenta del potere e soprattutto della perdita del potere?
Se vuoi fare politica devi dimenticare l’umanità, ammoniva Bettino Craxi, che ne fu una vittima eccellente. Hillary Clinton - si parva licet - non sappiamo se l’abbia mai dimenticata, ma è certo che la sua, di umanità, l’ha ritrovata nella sconfitta, dopo una batosta elettorale imprevista e inaspettata, che ha spezzato le sue ambizioni di potere. Lo choc dev’essere stato terribile, se lei stessa parlando per la prima volta in pubblico dopo le elezioni ha confessato: «L’unica cosa che volevo fare era rannicchiarmi con un bel libro, il mio cane, e non uscire più di casa».

Parlava a braccio, senza trucco, senza luci orientate, lo sguardo spento, l’aria dimessa di una suora laica col suo saio azzurro, di fronte al pubblico di una serata di gala organizzata a Washington dal Fondo di difesa dell’infanzia. «Venire qui stasera non è stato facile per me», ha ammesso l’ex candidata alla Casa Bianca. Abituata a vincere, a prevaricare, a dominare, dando forse un po’ troppo per scontati i diritti suoi e delle donne, non si aspettava di perdere e di dover scoprire un’altra America che le ha preferito un uomo vecchio stampo, e però molto più “nuovo” di lei. E la sorpresa, condita dalla delusione e dal senso di vuoto e di smarrimento, ha finito per renderla umana, anche se ormai, per lei, scaduto è il tempo della politica dimentica dell’umanità.
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