Roma si scopre città sismica tutti in strada tra paura e ironia

Roma si scopre città sismica tutti in strada tra paura e ironia
di Mario Ajello
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Lunedì 31 Ottobre 2016, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 11:08

ROMA Ansia, incertezza, sgomento, confusione. Tanta paura. Di nuovo? Sì, un’altra volta. E Roma città aperta, al pensiero di essere storicamente al riparo dal ciclone dei grandi terremoti, scopre la certezza di essere diventata Roma città sismica.
 

 

Le scosse svegliano tutti, s’infilano nelle case entrando da sotto e rumoreggiando (qualcuno s’è alzato gridando: «Oddio, ci sono i ladri!»), fanno tremare i lampadari, le pareti, le tazzine con i caffè e i vassoi con i caffellatte già pronti per la colazione e anche tutto il resto si muove nell’intimità di questo risveglio choc. 
Sembrava che le vibrazioni non volessero andare più via. Ma quando finisce? È finito. Ma in fondo non è finito perché da ora in poi - dopo che nelle prime telefonate, nei messaggi, sui social, nelle conversazioni a letto o nei bar questa viene definita «la botta più forte che abbia mai sentito» - la fragilità da terremoto, la vulnerabilità da scossa, la sensazione di non stare più al sicuro inserisce Roma e i romani in una nuova fase della loro esistenza. Quella della coabitazione con il mostro. Una condizione inedita, provocata dai crolli (limitati) e dalle crepe (diffuse) che l’altra volta, appena qualche giorno fa, non si verificarono. No, non ci sono gli sfollati. Roma, sia pure piegata ormai alla normalità della paura, non è Norcia, non è un borgo umbro né una contrada marchigiana. Ma tanta gente temendo il peggio che è a portata di magnitudo scende in mezzo alla strada già prima delle 8. I bar sono pieni perché è meglio stare fuori casa. I padri con la scusa di portare il cane a fare la pipì se ne vanno al giardinetto, dove al massimo può crollare un albero.


LA PRECARIETÀ
C’è chi non si dà ragione di dover convivere con un nuovo problema, e di doversi sentire ancora più precario in una fase storica e emotiva in cui la precarietà appartiene a tutti, a qualcuno di più e a qualcuno di meno. E c’è chi, un gruppo di anziani borghesi dei Parioli, ha sentito che è stata danneggiata la splendida chiesa barocca di Sant’Ivo alla Sapienza e decide di recarsi lì, per sapere e per portare un omaggio. E in effetti la cupola del Borromini è lesionata, ma per fortuna la pala d’altare di Pietro da Cortona, con Sant’Ivo patrono degli avvocati, è rimasta intatta. Però ci sono i pompieri in questo gioiello artistico e nel resto della città. E il messaggio che il mostro può colpire ovunque, lontano ma anche qui e con una virulenza finora sconosciuta, è arrivato a tutti forte e chiaro. Ed è illustrato dalle crepe, dalle linee della metro chiuse, dall’ascensore intrappolato nelle mura che lo schiacciano, dalla piscina spaccata del Nuovo Salario. 

IL VIADOTTO
Il viadotto della tangenziale est verso San Lorenzo è lesionato e chiuso: e pensare che proprio intorno a quel tratto di strada l’architetto e celebre assessore Renato Nicolini voleva abbattere i palazzi, così la sopraelevata verniciata d’arancione poteva risplendere meglio nella sua bellezza (in realtà bruttezza). E invece non gli edifici ma la strada sta per venire giù. E ancora: i danni alla basilica di San Paolo e a quella di Santa Maria Maggiore, i pompieri ovunque, il sindaco Virginia Raggi che annuncia la chiusura delle scuole per verifiche tecniche, un pezzo di via Flaminia sbarrata per i cornicioni crollati lì intorno, gli allarmi che arrivano da Ostia, dal Tuscolano, da Marconi, l’interruzione del passaggio su Ponte Vittorio, la viabilità sulla Circonvallazione Clodia sospesa. Un bombardamento di notizie ansiogene. Uno stordimento che si aggiunge a quel mal di testa e mal di mare, ma è mal di terra, che molti di noi accusano in questi giorni in cui traballa tutto dentro e fuori.

NULLA DI STRAORDINARIO
Le telefonate al tempo del sisma visibile e introiettato sono così: «Io ho le crepe. E tu?». Chi si è già acconciato all’idea che non ci sia più nulla di straordinario e che la paura sia diventata la nuova normalità, e cita magari inconsapevolmente Fabrizio De André: pensavamo di essere assolti e siamo pur sempre coinvolti. E chi voleva trascorrere questi giorni di festa e di “ponte” a Roma e invece prende l’auto e parte. Ma per dove? L’Umbria? Non si può. La Toscana? Meglio. Il Sud, Napoli, Salerno? Molto meglio. Perché l’onda sismica sale, fino alle Marche, e infatti è strano che a Roma si sia sentita così potente, ed è preferibile andarsene dall’altra parte. Spostandosi dal centro verso la Pontina si costeggia la basilica di San Paolo, la cui facciata è scheggiata. Proprio quella che fu duramente colpita dal terremoto del 1349 di cui parla anche Francesco Petrarca, dicendo che Roma «è prostrata» e «sono cadute molte chiese, anzitutto quella dedicata all’apostolo San Paolo e tutto ciò rattrista con gelido orrore l’ardore del Giubileo dell’anno 1350». Anche ora, ma si sta concludendo, c’è il Giubileo, quello della Misericordia che evidentemente, tra sisma e altro, è stata poco generosa con questa città. La quale in queste ore si è risvegliata scoprendo che non è vero, come dice la leggenda, che l’Urbe sotto è vuota e dunque meglio protetta dal rischio terremoto. E barcolla purtroppo anche la certezza che, in fin dei conti, le antichità romane reggono a tutto come hanno sempre dimostrato. È vero infatti che la scienza delle costruzioni al tempo dell’antica Roma era di assoluta qualità e che Lucrezio, Ovidio, Polibio, Cicerone, Virgilio, Aulo Gellio, Tito Livio, Vitruvio, Seneca e Plinio il Vecchio divulgarono studi, osservazioni, raccomandazioni in materia sismica. E c’è una ragione, l’eccellenza delle opere, per cui per oltre due millenni e superando svariati terremoti il Colosseo ha potuto reggere ed è arrivato sostanzialmente intatto a noi sul piano strutturale. Ma ieri proprio il Colosseo ha dato preoccupazioni e sono intervenuti i tecnici per verificare. A riprova che niente più viene vissuto come intangibile in questa nuova fase della Roma traballante. Che è quella in cui l’inquietudine sta scatenando una sorta di derby tra quartieri - è più sismico il mio o il tuo? L’Eur o La Storta? Il Nomentano o l’Appio-Tuscolano? - e nessuno naturalmente vuole vincere questa partita.
 

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