Strage Milano, Giardiello all'amico: ucciderò il giudice e i miei soci

Claudio Giardiello
di Claudia Guasco
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Sabato 11 Aprile 2015, 08:43 - Ultimo aggiornamento: 13:43

MILANO Dal 2008, data nefasta del fallimento dell'immobiliare Magenta, Claudio Giardiello non viveva più. I bei tempi floridi, viaggi e vestiti eleganti, erano un ricordo e il tarlo dell'odio gli rodeva il cervello.

Cercava vendetta contro chi, a suo dire, lo aveva imbrogliato e custodiva da tempo la lista delle persone da uccidere: «Mio nipote, i miei ex soci, il mio commercialista che è il peggiore di tutti e il giudice Fernando Ciampi che mi ha rovinato», si sfogava con l'amico Ermenegildo Gabrielli. Una profezia dell'orrore che ha messo in pratica due giorni fa, entrando a palazzo di giustizia da un ingresso riservato mostrando il tesserino di agente immobiliare e seminando la morte. Il suo primo proiettile è stato proprio per il detestato nipote Davide Limongelli, fortunatamente sopravvissuto.

IL TRUCCO DEL TESSERINO

Gabrielli ha un negozio di brocantage in centro a Milano ed è qui che Giardiello si rifugiava.

Qualche volta chiedeva in prestito soldi, altre la macchina per andare a Legnano a vedere le villette che la Magenta aveva costruito.

«Ci siamo conosciuti dieci anni fa durante una vacanza a Cracovia. Lui aveva un sacco di soldi, teneva i rotoli di banconote in tasca. Una volta mi ha detto che aveva vinto 900 mila euro al casinò di Campione. La sua impresa andava a gonfie vele, mi ha portato a vedere quelle villette a schiera e sono rimasto impressionato». È durata poco. «Ha cominciato a parlarmi dei suoi problemi economici, veniva qui in negozio ogni mattina a lamentarsi: “Gildo, mio nipote mi sta fregando”». Limongelli e gli altri soci, sosteneva, «hanno venduto le villette senza dirmi niente, non mi hanno pagato e vogliono che metta denaro nella società per ricapitalizzarla. Ma io questi soldi non li ho».

Così la diatriba è finita a carte bollate, «lui veniva da me con la ventiquattr'ore piena di documenti e mi spiegava: “Vedi? Queste sono le carte che devo portare in tribunale”». Era diventato un frequentatore abituale del palazzo di giustizia e aveva capito come ottimizzare i tempi. «Entro dall'ingresso degli avvocati perché non voglio fare code - raccontava all'amico -. Mi basta presentare il tesserino da agente immobiliare, mi vedono vestito bene e passo senza problemi». Intanto il suo odio per gli ex soci e il giudice Ciampi cresceva proporzionalmente con i guai finanziari.

«Mi diceva: “Io li ammazzo tutti”. Pensavo fosse solo uno sfogo, cercavo di farlo ragionare: “Claudio, non hai paura di passare il resto della tua vita in galera? Puoi rimboccarti le maniche, ricominciare da capo”». Ma Giardiello voleva solo vendetta: «Quelli mi hanno rovinato, la mia esistenza è finita, non mi interessa andare in prigione».

PRESTITO PER LA PISTOLA

Da Gabrielli cercava conforto e soldi, «era così disperato che mi ha venduto un po' di argenteria, gli ho comprato un mobile per aiutarlo. Una volta mi ha detto: “Mi presti 800 euro per comprare una pistola?”». L'amico ha cercato di farlo desistere, il killer ha insistito fino a che non ha ceduto. «Aveva trovato un tipo a Torino che doveva vendergliela. Il giorno dopo però è tornato da me a mani vuote. “Gildo, mi hanno imbrogliato, gli ho dato i soldi e non mi hanno dato la pistola”». Alla fine, per altri canali, è riuscito a procacciarsi la Beretta.

«Uccidere il nipote, i soci e il giudice era un'ossessione per lui. Era sicuro che anche i magistrati lo avessero rovinato: il suo studio di via Mercato valeva due milioni, lo hanno messo all'asta per 400 mila euro». Giardiello era finito: «Non c'è nessuno che mi aiuti, ci vorrebbero bravi avvocati ma costano. Io ho anche provato a trovare una soluzione: “Voi fatemi riavere i miei soldi e ve ne do una parte”». Ma il killer non ascoltava nessuno, in cinque anni ha cambiato cinque difensori. Gildo scuote la testa: «Un tarlo lo ha corroso, non era più lui».

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