Pnrr, braccio di ferro con Bruxelles: non accettiamo tagli

Il governo avverte l’Europa: proposte di modifica ad agosto

Pnrr, braccio di ferro con Bruxelles: non accettiamo tagli
di Francesco Malfetano
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Domenica 28 Maggio 2023, 23:57 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 11:59

Il senso del braccio di ferro in atto con Bruxelles sul Pnrr oggi sembra risiedere tutto nei numeri. Dopo mesi di trattative sul completamento degli obiettivi necessari per sbloccare la terza tranche da 19 miliardi di euro, la Commissione europea ora starebbe valutando di erogarla congelandone circa il 2 per cento. Un po’ come accaduto diverse settimane fa alla Lituania in pratica, con la differenza che per Roma si tratta di «appena» 300-400 milioni. 


LO SFREGIO
Posto che in questo momento a Palazzo Chigi non è arrivata una comunicazione ufficiale in merito da Rue de Berlaymont, tra chi segue da vicino il dossier Recovery per il governo è diffusa l’idea che sotto forma di segnale distensivo (nelle casse italiane arriverebbe nuova liquidità immediata) l’Ue stia in realtà nascondendo «uno sfregio» nei confronti dell’Italia. E non solo per la mancata ratifica del Mes. La contestazione sarebbe infatti anche frutto della necessità di mostrare come l’esecutivo italiano a trazione Ecr-Ppe sia in difficoltà. Il «puntiglio» dei commissari celerebbe cioè la «mossa politica» di un gruppo dirigente europeo che è espressione dell’attuale maggioranza in parte socialista. «Politici europei» che temono l’intesa che va profilandosi tra il Partito conservatore e i Popolari in vista delle Europee del 2024. 


Non a caso tanto Palazzo Chigi quanto il ministro degli Affari Ue Raffaele Fitto (che secondo la presidente del Parlamento Ue Roberta Mestola, intervenuta ieri a Che Tempo Che Fa «Sta facendo un ottimo lavoro») non avrebbero alcuna intenzione di avallare la decurtazione di 300-400 milioni di euro dalla rata.

E quindi, qualora la «parziale sospensione dei pagamenti» dovesse concretizzarsi, sarà immediatamente «contestata». Versione, questa, confermata di fatto anche dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani nel suo intervento a Radio24, a margine del Festival dell’Economia di Trento: «Se ci dovesse essere l’esclusione di una piccola parte - ha spiegato ieri - l’Italia farà le sue osservazioni». Del resto come ha spiegato Fitto al question time alla Camera di mercoledì scorso, per il governo «tutti gli atti e provvedimenti, anche di tipo normativo, necessari al conseguimento della terza rata sono già stati adottati». Per cui per ogni taglio ai 19 miliardi «chiederemo e forniremo risposte di merito in punta di diritto».

Anche perché, la tesi ormai nota, è che la colpa sui ritardi accumulati sulle tranche non solo non è imputabile a questo esecutivo, quanto talvolta è diretta responsabilità della Commissione stessa. Un nuovo esempio lampante c’è nella rata in scadenza a giugno. Tra gli obiettivi che non saranno centrati e che Bruxelles già si prepara a contestare, c’è quello sull’installazione di almeno 40 colonnine di ricarica a idrogeno. Al bando - scritto dal governo Draghi e avallato proprio dalla Commissione - hanno risposto in 35. «È da considerarsi un target fallito imputabile alla gestione italiana oppure l’asticella iniziale è stata posta troppo in alto?» ci si interroga negli uffici che gestiscono la trattativa. La tesi è che si tratti di errori in fase di stesura che imporrebbero quantomeno una «presa di coscienza» da parte dei commissari. E cioè, nel caso di specie, più che imporre la riapertura della gara di assegnazione con tatno di lungo iter che paralizzerebbe il pagamento della nuova rata, basterebbe consentire di rivedere al ribasso l’obiettivo, dirottando le risorse aggiuntive altrove.


LE MODIFICHE
In pratica si chiede un’assoluta collaborazione sulla nuova nascente versione del Pnrr, senza pressioni di sorta sulla dead line. Non solo perché solo 5 paesi hanno completato la domanda di modifica, quanto perché l’unica scadenza imposta per emendare il Piano con l’inserimento del capitolo energetico (RepowerEu), è quella del 31 agosto. Una data che, come garantito da Meloni al Messaggero ieri, sarà in ogni caso rispettata. E quindi se Bruxelles fa sapere di «scambi costruttivi in corso» con Roma e sollecita la chiusura della partita entro giugno, a Palazzo Chigi il mantra è e resta «Faremo velocemente ma non in fretta».
 

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