Regioni, asse bipartisan: «No a diktat sui migranti». ​I governatori chiedono all’esecutivo
più dialogo

Il Viminale: da noi soluzioni costruttive. Verso un tavolo di confronto in settimana

Regioni, asse bipartisan: «No a diktat sui migranti». I governatori chiedono all’esecutivo più dialogo
di Francesco Malfetano
4 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Luglio 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 01:10

Basta diktat calati dall’alto. Ovvero stop a Roma che decide per tutti i territori. Mentre l’aumento degli arrivi di migranti dal Mediterraneo mette in seria difficoltà le aree di primo approdo, le Regioni alzano la voce contro il governo. «In merito alla collocazione dei migranti nei territori bisogna evitare decisioni calate dall’alto», è la linea che non meglio precisati ambienti vicini ai presidenti delle Regioni lasciano trapelare alle agenzie. «C’è bisogno di una collaborazione che porti a scelte prese di comune accordo, tra governo e regioni» è la richiesta che i governatori spediscono a Giorgia Meloni appena prima che la premier possa mettere piede a Tunisi accanto alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese Mark Rutte. 

Migranti, firmato il memorandum di intesa tra Ue e Tunisia. Ecco cosa prevede. Il 23 luglio summit a Roma

L’ACCOGLIENZA

Nel mirino di chi guida i territori - tanto da centrodestra quanto da centrosinistra - ci sarebbe quindi quel sistema di accoglienza diffusa che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il commissario per l’emergenza immigrazione Valerio Valenti, stanno tentando di far funzionare per evitare la creazione di grossi centri di accoglienza.

Se però i presidenti delle Regioni di centrosinistra chiedono maggiore autonomia nella gestione delle collocazioni (che oggi l’esecutivo distribuisce attraverso le prefetture in base all’ampiezza territoriale e al numero di abitanti), quelli di centrodestra da un lato lamentano il malfunzionamento del sistema di accoglienza diffusa (soprattutto il leghista friulano Massimiliano Fedriga) dall’altro sono finiti sotto il fuoco amico leghista per essersi già accordati con i prefetti (è il caso del veneto del Carroccio Luca Zaia).

«Distanze in realtà molto sfumate» spiega Matteo Biffoni, responsabile immigrazione dell’Anci e sindaco di Prato in quota Pd. «Si stanno accorgendo tutti che il sistema in questo modo non può reggere». Più che i Sai (Sistema di Accoglienza e Integrazione) dedicati ai richiedenti asilo e gestiti dai comuni con all’attivo 34.827 posti, le perplessità riguardano soprattutto i Cas (Centri accoglienza straordinaria), chiamati a sopperire all’assenza di spazio nelle strutture tradizionali attraverso dei bandi indetti dalle prefetture che prevedono un’erogazione minima di servizi (come corsi di lingua e orientamento legale, accertamenti su salute o eventuali vulnerabilità). Centri emergenziali che, secondo governatori e sindaci, rischiano di creare situazioni difficili sul territorio. 

Dal canto suo il governo, per ora, si limita a opporre un certo pragmatismo. Tant’è che secondo una fonte vicina al dossier le motivazioni sono spesso dettate da una sorta di «cortocircuito politico» che porta «governatori e sindaci di sinistra a schierarsi per il “no” per fare un dispetto a Giorgia Meloni», e quelli di centrodestra «a dover rendere conto ai propri cittadini delle posizioni tenute negli anni passati». Per il Viminale del resto, con i numeri e i flussi attuali (75.067 da inizio 2023, circa 6mila nell’ultima settimana), l’interesse primario resta “liberare” le aree di approdo redistribuendo nelle diverse Regioni anche se chi le governa protesta. A chiarirlo ieri anche la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro: «La situazione degli hotspot è al limite e non è giusto che ci siano pochi territori costretti a sopportare, da soli, un impatto così forte dell’ondata migratoria». La volontà però, in ogni caso, resta quella di trovare soluzioni condivise. Tant’è che a sera, il Viminale con una nota chiarisce che il ministro Matteo Piantedosi continuerà a mantenere la propria «disponibilità al dialogo» con i governatori (possibile un tavolo questa settimana), alla ricerca di «soluzioni costruttive» di comune accordo, come avvenuto per la dichiarazione dello stato di emergenza di aprile. 

IL COMMISSARIO

Intanto, proprio per cercare di limitare l’impatto sui territori, il commissario Valenti fa sapere di essere al lavoro per individuare «nuove aree temporanee e dedicate in Sicilia e Calabria per poter sopportare il significativo aumento del carico di arrivi con la creazione o l’implementazione di “punti di crisi”, ovvero aree di primissima accoglienza, come abbiamo fatto a Lampedusa». L’idea, com’è noto, è evitare la creazione di nuove mega-strutture, creando sia soluzioni cuscinetto che mini-hub all’interno dei centri in cui si possano già consumare da subito le pratiche di riconoscimento, in modo che possano assere significativamente accelerate le procedure di rimpatrio di coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale. Vale a dire, specificano fonti dell’Interno, la maggioranza degli arrivi. Circa 50mila dei 75 irregolari arrivati in Italia quest’anno, provengono da Costa d’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan e Tunisia. Paesi che, in termini di accoglienza, li classificano come migranti economici e non come richiedenti asilo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA