Migranti e economia, Meloni vola da Scholz: sì al patto in cinque punti

Domani a Berlino l’intesa tra governi per cooperare anche su crescita e clima

Migranti e economia, Meloni vola da Scholz: sì al patto in cinque punti
di Francesco Malfetano
4 Minuti di Lettura
Martedì 21 Novembre 2023, 01:53

Cinque settori strategici, due forum di dialogo e una piattaforma istituzionale per coordinarsi sul fronte migratorio. È pronto alla firma il piano d’azione italo-tedesco in stand-by ormai da più di un anno. A siglarlo domani - al netto di un’indisposizione che ieri ha costretto Giorgia Meloni ad annullare la sua partecipazione al Consiglio supremo di Difesa, poi rinviato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella - ci saranno non solo Olaf Scholz e la premier, ma anche diversi ministri. L’intesa è infatti il fulcro attorno a cui ruota un vertice intergovernativo molto articolato che, dopo un bilaterale tra i capi del governo in cui farà capolino la riforma del Patto di Stabilità Ue, si estenderà a una serie di faccia a faccia con protagonisti i rispettivi ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e dello Sviluppo Economico.

Elly Schlein in tv dalla Maggioni, la segretaria Pd e la contrapposizione in fair play alla Meloni in vista delle Europee

«Solo una giornata dell’amicizia» minimizza chi per conto del governo italiano ha seguito da vicino il dossier, peraltro inframezzata da un summit tra la Confindustria italiana e tedesca, e il G20 in video-collegamento a cui prenderà parte anche il presidente russo Vladimir Putin. 


In ogni caso il patto sarà un contenitore che, «come tutte le intese di questo tipo» spiega la stessa fonte, andrà di volta in volta reso operativo.

I cinque settori strategici interessati (crescita, competitività e occupazione; politica estera e sicurezza; agenda verde e protezione climatica; Europa e Stato di diritto; cultura e società civile) così come le piattaforma di dialogo permanente tra i ministri degli Esteri e della Difesa, quelli delle Finanze e quelli dell’Interno sull’immigrazione (resta fuori, al momento, il “modello Albania”), sarebbero in pratica dei buoni propositi che testimoniano la buona intesa che regola oggi i rapporti tra Meloni e Scholz. Si tratta però di titoli il cui finale può cambiare in corso d’opera, a seconda della ragione politica del momento. Pochi vincoli insomma, e ancor meno voglia di chiudere quel famoso triangolo che Mario Draghi avrebbe voluto creare con la firma di un trattato tra Roma e Berlino che ben parlasse con quello del Quirinale siglato con l’Eliseo.


IL TRIANGOLO

Il patto d’azione meloniano è infatti diverso dal trattato draghiano firmato con Emmanuel Macron (e da quello che l’ex premier aveva impostato con Scholz prima della caduta del suo governo). Non solo perché la prima formulazione a livello diplomatico è un gradino sotto alla seconda, quanto perché a detta di esponenti autorevoli del governo attuale - senza lesinare critiche all’intesa italo-francese - «ora non è più possibile prestare il fianco a cessioni di sovranità». Tradotto: l’intesa di domani sarà meno «profonda» di quella firmata al Quirinale con i francesi. Del resto il modello di cooperazione a cui Draghi ambiva, Meloni lo ha già smantellato nei fatti. Un esempio? Il punto 3 dell’articolo 11 del Trattato del Quirinale.

«Un membro di governo di uno dei due Paesi prende parte, almeno una volta per trimestre e in alternanza, al Consiglio dei Ministri dell’altro Paese». L’ex numero uno della Bce aveva avviato dei contatti formali affinché il ministro degli Esteri di Macron partecipasse ad un cdm all’inizio dell’estate del 2022. Ipotizzare invece che Catherine Colonna possa essere ospitata a palazzo Chigi, per quanto il trattato sia assolutamente in vigore, appare tutt’altro che percorribile. Così come difficilmente si può immaginare che il punto 3 possa essere parte integrante del patto con Berlino. 


Del resto l’unico partito a non votare a favore dell’intesa italo-francese nel 2022 fu proprio Fratelli d’Italia con i luogotenenti meloniani parlarono apertamente di «subordinazione suggellata» con la firma. Da qui la scelta di “allentare” le maglie dell’intesa con Berlino, riscrivendo o depennando alcuni passaggi del modello francese. Al punto che, spiegano fonti diplomatiche, dall’insediamento di Meloni in poi, più volte la Germania ha chiesto all’Italia conforto sul fatto che la volontà di siglare l’accordo fosse intatta, ottenendo rassicurazioni “solo” a giugno scorso. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA