È lo sfogo di una figlia, la quale - come dicono gli amici più cari - «dopo la morte del papà è diventata sempre più Marina, che è come dire sempre più Silvio». Ovvero incarna la continuità con il Cavaliere e da primogenita vuole, insieme ai fratelli e alle sorelle, tutelarne la memoria e ribadirne i principi. In piena sintonia e reciproca identificazione - qui è preziosissimo il lavoro di tessitura di Gianni Letta e la totale fiducia personale e politica che i Berlusconi hanno nei confronti di Antonio Tajani - con Forza Italia. I cui vertici infatti - leggendo ieri la lettera di Marina al Giornale, in difesa del padre: «Anche ora che è scomparso, certa magistratura continua a perseguitarlo» - hanno subito riconosciuto il piglio del Cavaliere e apprezzato moltissimo le posizioni espresse nella missiva che sono quelle che Tajani e il gruppo dirigente forzista stanno portando avanti nella battaglia politica sul tema giustizia. «La vicinanza di Marina al nuovo corso del partito è una cosa che ci onora e ci fortifica», è il commento di Tajani. E lei, che non aspira ad avere ruoli politici, da figlia e da continuatrice aziendale dell’opera del padre un ruolo d’intervento pubblico di fatto se lo sta ritagliando, come dimostrano anche le due lettere di incoraggiamento che la numero uno di Mondadori ha inviato a Tajani per il consiglio nazionale di sabato scorso.
E comunque, non ha mai perdonato Marina le aggressioni giudiziarie al genitore e ora che vede «questa guerra dei 30 anni» protrarsi anche fuori tempo massimo non esita a reagire.
LE CONTROMISURE
Marina, che non ha mai consentito a nessuno (celebre lo scontro con Roberto Saviano l’«ingrato» che proprio alla Mondadori deve il successo del suo Gomorra) d’infangare il genitore, demolisce l’accanimento con queste parole: «La persecuzione di cui mio padre è stato vittima, e che continua, contiene molte delle patologie e delle aberrazioni da cui la nostra giustizia è afflitta. È una storia che vede una sia pur piccola parte della magistratura trasformarsi in casta intoccabile e soggetto politico, teso solo a infangare gli avversari, veri o presunti. È così che certi pm invertono totalmente il percorso che la ricerca della verità dovrebbe seguire. Partono da un teorema, per quanto strampalato, e a questo adattano la realtà dei fatti, anche stravolgendola, per dimostrare la fondatezza del teorema stesso. Che poi alla fine questo non trovi il minimo riscontro importa poco. Perché nel frattempo gli organi di informazione amici avranno diligentemente pubblicato le carte dell’accusa, anche quelle in teoria segrete, facendo di tutto per presentarne le ipotesi come fossero verità assolute». Il tritacarne mediatico-giudiziario è riassunto in un’immagine: «La lettera scarlatta giudiziaria marchia l’avversario e resta indelebile. E il nuovo obiettivo di questi pm è chiaro: la damnatio memoriae». Ai danni di un padre oltre che di un personaggio storico.
Ma non ne fa una questione personale Marina. Il problema è generale. «Un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese che non può funzionare. Non m’illudo che, dopo tanti guasti, una riforma basti a restituirci alla piena civiltà giuridica. Ma penso, e spero, che chi ha davvero il senso dello Stato debba fare qualche passo importante. Non dobbiamo rassegnarci. Abbiamo diritto a una giustizia che sia uguale per tutti. Per tutti, senza che siano certe Procure a decidere chi sì e chi no». Il messaggio politico è chiaro. E il partito ora passato a Tajani lo ha impresso nel proprio dna.