Lobbying, rendere trasparenti le istituzioni

Lobbying, rendere trasparenti le istituzioni
di Claudio Velardi*
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Domenica 8 Gennaio 2023, 01:45 - Ultimo aggiornamento: 07:07

L’annoso dibattito sul lobbying si è riaperto alla grande dopo il cosiddetto Qatargate, dando origine a controversie cavillose, improprie, a volte surreali. In genere coloro che vi partecipano - esimi giuristi, politici con senso di colpa, grands commis, opinionisti alla Torquemada - premettono che, certo, lo scandalo X in questione non ha nulla a che vedere con il lobbying, attività formalmente definita “legittima”, ma poi non fanno altro che proporre misure poco liberali per regolamentare, normare, limitare, certificare, sanzionare, punire chi rappresenta interessi presso un decisore pubblico, direttamente o per conto terzi.

Colpa del colossale bias cognitivo che circonda la famigerata parolina “lobby”, ma anche di una vera e propria mancanza di conoscenza della società in cui viviamo. 


Partiamo da qualche domanda di fondo. Chi è che oggi, nella società della comunicazione pervasiva e ubiqua, fa lobbying? Faccio un primo esempio, per capirci. Prendiamo un influencer con milioni di follower che manifesta in rete una determinata opinione su una questione all’attenzione del decisore pubblico. La sua opinione influenzerà oppure no la produzione legislativa sul tema? E qualcuno si pone mai il problema di sapere se questo influencer - per dire - è pagato da qualcuno per esprimere quella opinione piuttosto che un’altra? Oppure, per metterla su un piano ancora più radicale e divisivo: perché la (legittima e legale) industria delle armi viene contrastata come una lobby feroce e aggressiva, mentre un’organizzazione come Greenpeace, che sempre legittimamente presidia determinati interessi di segmenti dell’ambientalismo, viene considerata portatrice di un nobile interesse generale, e mai trattata come una lobby? Potrei proseguire con altri mille esempi, dimostrando quanto sia ampia, sfaccettata e complessa la realtà contemporanea del lobbismo, cioè delle attività che tutti - nessuno escluso - compiono per influenzare le decisioni pubbliche, usando gli strumenti e le sedi che si hanno a disposizione. Ed è giusto e normale che lo facciano.


Ma allora, se le cose stanno così, la questione che si pone successivamente è semplicemente capire chi stabilisce - e su che basi - quali sono gli interessi giusti e quelli sbagliati, quelli difendibili e quelli da contrastare. Questa è la domanda di fondo, cui si è data in passato una risposta che ha funzionato fino a qualche tempo fa: nelle nostre democrazie, il diritto di selezionare gli interessi e compiere delle scelte spetta ai depositari pro-tempore della rappresentanza, cioè a coloro che democraticamente eleggiamo.


Qui però interviene la capitale novità dei tempi che viviamo.

Nelle società semplici di una volta, organizzate in classi sociali e rappresentanze che agivano nei confini degli Stati-nazione, gli interessi si trasmettevano in forma elementare, erano finanche fisicamente visibili nella composizione dei Parlamenti. Oggi l’esplosione di una società ricca e libera, con interessi e valori trasversali, mobili, temporanei, ha messo strutturalmente in crisi la vecchia rappresentanza, e richiede quindi nuovi criteri di individuazione e selezione dei cosiddetti temi salienti, quelli che orientano scelte e decisioni.


Quindi, per affrontare correttamente il tema, bisognerebbe leggere, interpretare la società in cui viviamo. Invece, quando si discute di lobbying, il sistema (politico, giuridico, mediatico, burocratico) si arrocca, illudendosi di poter rimettere il dentifricio nel tubetto. Opera per costringere la nuova società dentro i confini culturali, prima ancora che legislativi, della vecchia. Normando, disciplinando, prescrivendo, impedendo. Per fare un esempio banale ma emblematico: si discute sempre delle regole cui dovrebbero attenersi i rappresentanti di interesse, mai dei doveri cui dovrebbero sempre adempiere le pubbliche amministrazioni, imponendosi tempi, modalità e risposte di merito alle richieste dei cittadini e di chi li rappresenta. Così, chiudendosi dentro la loro cittadella, i vecchi poteri cercano di resistere all’offensiva della società “di fuori”, che preme alle sue porte. 


La soluzione? Rovesciamo la piramide. Letteralmente. Altro che leggi sul lobbying. Facciamole pure, se proprio vogliamo metterci in pace con la coscienza, ma intanto partiamo subito dall’alto. Partiamo da come funzionano le amministrazioni dello Stato e i luoghi della rappresentanza politica. Apriamo ogni porta, rendiamo del tutto trasparente, certo e rapido il funzionamento delle burocrazie. Mettiamo ogni processo decisionale in rete. E regoliamo per legge solo lo stretto necessario, in materia di rappresentanza di interessi. In altre parole: non disturbiamo chi vuole lavorare e produrre ricchezza (semicit), aiutiamo invece un adeguato e moderno svolgimento del processo decisionale pubblico. Cosa che i lobbisti di professione fanno con competenze e capacità spesso superiori a decisori troppo chiusi nel Palazzo.


* Presidente della Fondazione Ottimisti&Razionali

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