Conte si racconta:
dagli studi a Roma
al concorso per avvocato

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Giovedì 3 Gennaio 2019, 11:53
 ROMA La vita universitaria con pochi agi, l'esperienza a Villa Nazareth, la passione per il calcio. C'è anche un lungo excursus nella vita privata nell'intervista del premier Giuseppe Conte a Panorama. «Tutto iniziò perché mia madre leggeva Famiglia Cristiana con cura quasi maniacale, dalla prima all'ultima riga. Lesse di un collegio cattolico, dove si poteva accedere con un concorso che si sarebbe dovuto celebrare di lì a breve. Non eravamo poveri ma mia sorella studiava già a Milano, e non navigavamo nell'oro. Mamma pensò che potesse servire, e così mi disse: »Partecipa!«, racconta Conte che si recò di persona a Roma a sostenere la prova e lì conobbe il cardinal Silvestrini. »Un uomo fortemente carismatico che ho avuto la fortuna di conoscere. Un maestro. Un portatore di kerigma, che è il termine greco con cui si indica la capacità quasi profetica di guidare e annunciare la via«, ricorda Conte che superò l'esame condotto dalla professoressa Angela Groppelli ma non fu ammesso perché c'era chi aveva maggiori difficoltà economiche di lui. Anni dopo, tuttavia, fu richiamato da Villa Nazareth. »Lei non si era dimenticata di me. Con una puntualità e una sicurezza incredibile esattamente dopo quattro anni, mi telefonò e disse:«Conte, tutto bene? Si è laureato?» Effettivamente mi ero appena laureato, e avevo iniziato a fare l'assistente all'università. E mi propose di collaborare«. E in quegli anni Conte riassume una delle lezioni più importanti apprese: »Tutti devono essere messi in condizione di poter realizzare i propri talenti, a prescindere dalla loro condizione sociale ed economica«. Lezione che, spiega, è anche alla base del suo presentarsi come »avvocato del popolo«. »Io mi considero prestato a tempo per questo lavoro. E anche quando sono al tavolo di Bruxelles, penso che devo difendere il mio mandato«, sottolinea. Conte nel corso dell'intervista si sofferma sui suoi anni da studente a Roma: i cambi di casa, da La Rustica a Piazzale Aldo Moro, i soldi spesso contati. »Non mi è mai mancato nulla, ma per tutta la durata degli studi ho mangiato alla mensa universitaria, a tariffa agevolata. Non mi sono concesso distrazioni eccessive«. E la passione per il calcio e per la maglia numero 10. »Se stiamo ai numeri mi piaceva anche la maglia da centravanti, quella da «falso nueve», sono uno che vede la porta. E mi piace far giocare gli altri«, dice. (
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