Elezioni europee: Meloni verso il sì, Schlein indecisa e per Renzi è partitissima. ​l borsino dei leader con vista Strasburgo

Il derby Pd-M5s, l'asticella del 30% per Fdi, le sfide di lega e Forza Italia. Per Renzi l'obiettivo è superare la soglia

Meloni verso il sì, Schlein indecisa, per Renzi è partitissima: i l borsino dei leader con vista Strasburgo
di Mario Ajello
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Lunedì 15 Gennaio 2024, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 08:41

Chi sale e chi scende lo vedremo il 9 giugno, ma intanto si può fare il borsino dei leader a inizio campagna elettorale, delle aspettative dei partiti, delle scelte dei big (mi candido, non mi candido), delle strategie in corso (esempio: riuscirà il terzo polo a unire almeno Calenda e Bonino, visto che Renzi è già abbondantemente via?). I capi partito stanno tutti danzando in surplace come nelle corse ciclistiche di velocità: chi scatterà per primo, ammesso che scatti davvero e non tiri la volata per altri? 

Giorgia Meloni (più sì che no) si candida. Elly Schlein (più no che sì) aspetta le mosse della competitor.

Matteo Salvini e Antonio Tajani non correranno. Matteo Renzi si presenta in tutte e cinque le circoscrizioni: giocandosi la sua partitissima. Carlo Calenda scalda i motori di Azione ed è convinto, senza candidarsi ma giocando da top player e da uomo ovunque, di portare il suo partito all’8 per cento. E poi: Giuseppe Conte. «Non truffo gli elettori mettendo il mio nome in lista», dice. E però ce la metterà tutta: se nel Pd le Europee vengono vissute come un congresso di partito (riuscirà Elly a salvarsi dai notabili che ne prevedono e forse ne propiziano il capitombolo?), in M5S la consultazione per Bruxelles è più che altro un derby contro i dem. Ovvero, raggiungerli e superarli intorno al 20 per cento e poi, per Conte, aggiudicarsi lo scettro di leader e federatore dell’intero centrosinistra alle Politiche del 2027.

Meloni si sta studiando i precedenti dei leader in corsa alle Europee e per decidere di parteciparvi è confortata dal fatto che tutti o quasi i grandi politici hanno tirato la volata ai loro partiti facendo i capilista in direzione Bruxelles-Strasburgo: da Andreotti a De Mita, per non dire di Fini, Bossi, Bonino tutti e tre insieme in lizza nel 1999 o - nel primo voto europeo, 1979 - di Zaccagnini, Craxi, Berlinguer, Pannella (che poi nel Sud optò in favore di Leonardo Sciascia). 

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LE SOGLIE

Nel borsino delle reciproche aspettative elettorali ci sono il 30 per cento che Meloni vuole raggiungere per FdI, con un successo di preferenze individuali pari a quello di Berlusconi dei bei tempi (vale intorno al 3 per cento la sua personale discesa in campo, secondo i sondaggisti) ma vincere troppo per Giorgia significherebbe umiliare gli alleati. A Palazzo Chigi non si sottovalutano gli effetti che un trionfo di Giorgia provocherebbero sulla stabilità del governo. Specie Salvini è piuttosto preoccupato per la contesa di giugno. Aveva, con il 34,6 per cento ottenuto cinque anni fa, 29 eurodeputati (poi 7 sono andati però in altri partiti) e adesso i pronostici attribuiscono al Carroccio meno di dieci seggi. Uno potrebbe essere per il generale Vannacci, possibile candidato al Centro Italia, un altro per Aldo Patricello, imprenditore della sanità con 4 legislature alle spalle in Forza Italia e 83mila voti personali in Molise e dintorni ma stavolta correrà con la Lega che però, a livello territoriale, ha perso in questi mesi in favore degli azzurri diversi esponenti, alcuni anche elettoralmente pesanti. Il partito forzista ha dimostrato di saper reggere anche senza il Cavaliere, così dicono i sondaggi, ma la prova materiale delle urne dirà la verità. Obiettivo: 10 per cento per Tajani. E il congresso forzista di fine febbraio fungerà da volano.

La candidatura di Schlein - ma Prodi l’ha sconsigliata, i notabili non la vogliono per non essere depotenziati nella guerra interna nel caso Elly andasse bene, le donne del partito la temono perché le sfavorirebbe - è la carta della segretaria, se vorrà giocarla, per scongiurare al Pd un capitombolo al 20 per cento o addirittura al 19 (quello preso da Letta e fu una sconfittona) e la soglia di sopravvivenza politica della segretaria - la linea Elly la chiamano - è quel 22,7 per cento che presero i dem guidati da Zingaretti nel 2019. 
Il borsino è più o meno questo, la madre di tutte le battaglie (le altre sono alle Regionali e alle Comunali) è cominciata e da qui a giugno non faremo che sentire dai protagonisti grandi promesse sull’Europa, sommi progetti comunitari e infiniti piani di rilancio per il Vecchio Continente. Ma in realtà questa è una, legittimissima, contesa interna di potere e guai a dimenticare l’avvertimento di Max Weber: «I programmi politico-elettorali hanno un significato quasi puramente fraseologico».

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