Calenda: «Stellantis non è più italiana e chiede soldi per restare. Ora Elkann dia spiegazioni»

Il leader di Azione: «La gente non lo sa: il Gruppo vuole investire in Marocco. Anche la fabbrica per fare la Maserati è stata messa in vendita su Immobiliare.it»

Calenda: «Stellantis non è più italiana e chiede soldi per restare. Ora Elkann dia spiegazioni»
di Mario Ajello
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Domenica 21 Gennaio 2024, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 17:58

Senatore Calenda, la de-industrializzazione è una delle questioni italiane più gravi. Non crede che si parli troppo poco della responsabilità di alcuni gruppi economici nell’indebolimento della nostra competitività?
«Io credo che questo discorso debba riguardare anzitutto Stellantis. Quella di questo gruppo è una storia allucinante. Sia per le dimensioni della vicenda sia per l’omertà della sinistra e del sindacato». 

Sta dicendo che l’ex Fiat e gli eredi Agnelli sono uno dei problemi italiani? 
«Dopo la morte di Sergio Marchionne, John Elkann ha cominciato a vendere le attività, innanzitutto la Magneti Marelli.

L’ha ceduta durante il governo Conte a una società giapponese, super-indebitata, di proprietà di un fondo. All’epoca, chiesi al governo d’intervenire bloccando la vendita attraverso il golden power. Ma Conte decise di non farlo». 

La politica sempre troppo succube degli Agnelli?
«Ma certo! All’epoca, Elkann diede assicurazioni sugli stabilimenti e sul lavoro in Italia. Come abbiamo visto con la brutta fine della fabbrica Magneti Marelli a Crevalcore, queste assicurazioni non valgono nulla. Ma questo non è che il principio. La morale è l’irresponsabilità di un capitalismo che usa l’Italia a proprio piacimento. Anzi, è più di questo. Durante il Conte 2, Fca riceve una garanzia pubblica di 6,3 miliardi, per consentire agli azionisti di pagarsi un dividendo in Olanda da 3,9 miliardi di euro. E di fatto vendere la ex Fiat a Peugeot. Questi sono capitalisti che si fanno gli affari loro. Se ne infischiano dell’Italia e sono stati favoriti da una politica debole e compiacente».

Ne fa le spese il Sistema Italia? 
«Sì, basta guardare la situazione degli stabilimenti Stellantis francesi rispetto a quelli italiani. Quelli francesi sono tutti pronti per i motori elettrici, di quelli italiani soltanto uno è al passo con i tempi. In Francia, si registrano dieci volte i brevetti Stellantis rispetto a quanti se ne registrano in Italia. Le fabbriche italiane, a cominciare da Mirafiori, si vanno desertificando. E Tavares viene a inaugurare a Mirafiori una linea di rottamazione, spacciandola per economia circolare, alla presenza di tutte le autorità cittadine. E ancora: la fabbrica di Grugliasco intitolata a Gianni Agnelli, dove io da ministro avevo inaugurato insieme a Marchionne una linea di produzione Maserati, è stata messa in vendita su Immobiliare.it. E comunque, quello che voglio dire è che delle assicurazioni date da John Elkann non rimane più niente. Mesi fa ho chiesto al presidente della commissione Attività produttive del Senato, di FdI, di convocare Elkann perché risponda della situazione ex Fiat. Per ora, non è accaduto nulla. La triste realtà è che oggi quel gruppo produce in Italia il 30 per cento in meno rispetto all’epoca Marchionne. E i nuovi modelli, spacciati per made in Italy, vengono fatti in Serbia».

Sta parlando di un caso di anti-italianità, di negazione degli interessi nazionali? 
«Di italiano la ex Fiat non ha più nulla. Dobbiamo avere consapevolezza di questo dato di fatto. L’Italia è diventata per loro un mercato qualunque e chiedono ai governi soldi e incentivi, per mantenere quel minimo di presenza a cui sono arrivati. La vuole una notizia?».

Ma certo. 
«Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato ai fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli investimenti in Marocco dove il gruppo di Elkann è già presente in maniera massiccia. Oltre alla lettera, hanno inviato un depliant del governo marocchino che esalta le facilitazioni per l’industria dell’automotive in quel Paese. La fuga dall’Italia continua sempre di più». 

Perciò il ministro Urso vuole aprire le porte a un’altra industria dell’auto?
«Mi auguro che accada. Purtroppo non è facile. Noi, come governo Renzi, riuscimmo a far investire Lamborghini, gruppo Audi, nella nuova linea dei suv, battendo la concorrenza dell’Europa dell’est e lo facemmo solo attraverso un grande lavoro diplomatico e un pacchetto dedicato. Ma non bisogna dare Stellantis per persa. Il governo deve il prima possibile incontrare Tavares, anche perché mi pare che sia lui l’unico a decidere».

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Non crede che l’opinione pubblica italiana non sia avvertita a sufficienza della gravità della situazione? 
«Certo che è così. La sinistra e la Cgil hanno smesso di parlare della fuga della ex Fiat da quando gli Elkann hanno comprato Repubblica, il principale giornale della sinistra. Maurizio Landini è arrivato a fare un’intervista a quel quotidiano, parlando di crisi dell’automotive senza mai nominare Stellantis che è l’unico produttore italiano. Da quando dico queste cose, il gruppo editoriale Gedi non mi ha più fatto fare una singola intervista su uno dei loro giornali. Neanche Berlusconi aveva mai silenziato in questa maniera gli avversari politici sulle sue televisioni. Altro che conflitto d’interessi e editto bulgaro! Le voglio fare una facile previsione. Quando gli Elkann avranno finito di dismettere le attività in Italia, venderanno Repubblica che gli è servita solo per coprire “a sinistra” la fuga dal nostro Paese».

Ma dove è finito il Landini che attaccava Marchionne? 
«E’ sparito. In quel periodo, la Fiat - come ho detto - produceva il 30 per cento in più di adesso e investiva massicciamente in Italia. Ma Landini se la prendeva tutti i giorni con Marchionne per il contratto di lavoro. Oggi che il lavoro in quel gruppo sta sparendo, Landini, diventato segretario generale della Cgil, sembra non riuscire a pronunciare la parola Elkann. Forse ha paura di venire bandito da Repubblica». 

Ma perché, secondo lei, c’è un capitalismo che sta sempre dalla parte sbagliata: dove non c’è l’Italia?
«Perché gli italiani, spesso, sono bravissimi imprenditori e pessimi capitalisti. Molti di loro, quando raggiungono una determinata dimensione d’impresa, hanno le seconde o terze generazioni che preferiscono in tanti casi vendere e mettersi a fare i finanzieri. La vicenda Elkann ne è la dimostrazione». 

Sta qui la nostra debolezza rispetto a Francia e Germania?
«Sta purtroppo in molti fattori. Di fatto, le imprese francesi vengono a comprare la manifattura italiana, che resta leader nelle medie imprese. In alcuni casi, vedi il settore della moda, le aziende d’Oltralpe ottengono ottimi risultati. In altri casi, come quelli delle compagnie di telecomunicazioni e appunto dell’automotive, combinano disastri. Disastri che, per quanto riguarda Stellantis, sono coperti dalla sinistra, dal sindacato e dai governi incompetenti come è stato quello dei 5 stelle».

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