Gli aggettivi che circolano più frequentemente, nel mondo delle imprese della Capitale e del Lazio, sono piuttosto netti: «incomprensibile», «assurdo», «insensato». In ogni caso, «non negoziabile». E su una cosa sono tutti d’accordo: nel «malaugurato caso» che Roma dovesse perdere ministeri o funzioni, nell’ambito della riforma dell’Autonomia differenziata, andrebbe «ampiamente risarcita». E non solo con la legge per Roma Capitale, «che anzi è già troppo in ritardo», ma con l’approdo all’ombra del Colosseo di autorità, anche internazionali, e di altre realtà non solo legate alla politica. Con Stefano Di Niola, segretario della Cna di Roma, che lancia una provocazione: «Perché la Borsa è a Milano? Se si mette in discussione la presenza dei ministeri nella Capitale, allora cominciamo a parlare anche delle sedi delle istituzioni economiche e finanziarie». Il mondo economico romano, insomma, si dice «stupefatto» e si schiera con forza contro la bozza di riforma di Roberto Calderoli, nella parte in cui porterebbe all’addio alla Città eterna da parte di alcune sedi istituzionali nazionali.
IL DIBATTITO
In prima fila, nelle critiche alla proposta del ministro leghista, ci sono gli industriali, che ricordano anche il lavoro lunghissimo, e finora infruttuoso, per la riforma di Roma Capitale. «Si sta discutendo dalla scorsa legislatura, anche in maniera costruttiva, di dare più poteri e più ruoli alla capitale d’Italia, come succede negli altri Paesi europei», sottolinea Angelo Camilli, presidente di Unindustria.
I TEMI
Anche perché, oltre alle sedi istituzionali, la riforma comprende diversi assetti strategici. «La riforma autonomista riguarda materie come l’istruzione, l’energia, la previdenza, la cultura, che sono fondamentali nel sistema Paese - spiega Romolo Guasco, direttore di Confcommercio Roma - Avrà inevitabilmente tempi lunghi, che possono consentire, come scritto nel programma della maggioranza di governo, l’approvazione del nuovo assetto istituzionale per Roma Capitale, per rendere più veloci le scelte dell’amministrazione». Un tema, quest’ultimo, a cui è strettamente legato quello delle risorse straordinarie per la Città eterna: «Serve un fondo per Roma Capitale, come ce l’hanno tutte le grandi capitali europee e come esisteva fino al 2012 - argomenta Guasco - Risorse che permettano gli investimenti ordinari per migliorare la città». Anche in un sistema di autonomie forti, aggiunge il direttore di Confcommercio Roma, «la Capitale rimane il motore e la vetrina della nazione, e quindi è importante che il governo lavori con l’amministrazione locale per migliorarla: bella l’immagine di Salvini ministro e del sindaco Gualtieri che, insieme, verificano l’andamento dei lavori per la metropolitana».
I RISCHI
Lo stop alla riforma Calderoli arriva anche dalle imprese del turismo, storicamente uno dei settori trainanti dell’economia della Città eterna: «Penso che le autonomie abbiano evidenziato i loro limiti e provocato già numerosi danni - attacca Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma - Il troppo dividere e separare poteri legislativi crea barriere e ostacoli, dove sguazza la corruzione». Netta anche la posizione della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa della Capitale. «Siamo fortemente contrari a questa ipotesi: Roma è la Capitale d’Italia e in nessun Paese europeo si è realizzata un’idea del genere», rimarca Di Niola. Secondo il segretario della Cna, in particolare, «va varata immediatamente una legge speciale per Roma Capitale, che garantisca poteri e risorse adeguate al ruolo di questa città: ma in questo contesto è assurdo pensare a spostare altrove ministeri è altre funzioni». Un’ipotesi, ribadiscono tutti, «non negoziabile».