Kawaguchi, il giapponese da un milione di copie: «Il mio caffè dell'anima che piace agli italiani»

Lo scrittore-fenomeno torna in libreria con "Quando il caffè è pronto"

Kawaguchi, il giapponese da un milione di copie: «Il mio caffè dell'anima che piace agli italiani»
di Riccardo De Palo
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Venerdì 26 Gennaio 2024, 15:43 - Ultimo aggiornamento: 16:21

Il giapponese che vende il caffè agli italiani si chiama Toshikazu Kawaguchi. È un signore di 52 anni, dalla faccia simpatica e con una risata contagiosa. «Mi chiedono spesso - dice scoppiando a ridere al telefono - perché non ha scelto il tè?». E invece la serie di romanzi inaugurata nel 2020 con Finché il caffè è caldo (tutti Garzanti) ha venduto oltre un milione di copie, in 77 edizioni successive. Gli addetti ai lavori ne parlano come l'esordio di fiction straniera più di successo degli ultimi 4 anni, tradotto in oltre 40 Paesi. Kawaguchi, di passaggio a Roma per presentare il suo ultimo romanzo, Quando il caffè è pronto, il quinto della serie, dice di non essere ancora riuscito a capire la ragione del suo successo.

Il fenomeno editoriale da un milione di copie Toshikazu Kawaguchi oggi a Roma presenta la sua "saga" del caffè


Potenza del passaparola?
«Forse sì. Oppure, quello che ha colpito maggiormente la fantasia degli italiani potrebbe essere l'idea di base di questi romanzi, ambientati in un locale giapponese: che si possa tornare a rivivere il passato, per il tempo di un caffè. E poi, si tratta pur sempre di una bevanda dell'anima, per gli italiani: questo potrebbe avere suscitato simpatia nei miei confronti».


Come è nata l'idea?
«Tutto è iniziato quando volevo scrivere una pièce teatrale, e sono partito da questo titolo. Mi veniva in mente come un haiku, una forma di poesia antica. Finché il caffè è caldo. Ci sono migliaia di storie in cui si può viaggiare nel tempo, e modificare i fatti avvenuti. Io invece ho immaginato che si potesse tornare nel passato ma senza poterlo cambiare».


È vero che ha trovato la forza di finire il romanzo dopo avere parlato con un suo amico che stava morendo?
«Sì, purtroppo è andata proprio così. Avevo un amico del cuore, una persona che aveva un tumore e che è venuta a mancare nel giro di quattro mesi. Quattro giorni prima che morisse, sono riuscito a vederlo. Ero molto in difficoltà con la scrittura, non riuscivo ad andare avanti. Ma lui mi fece coraggio, mi disse: "tu riuscirai comunque". Allora, ho capito che anche io avrei potuto morire in qualunque momento. E ho trovato la forza di continuare, l'ho fatto per lui».


C'è anche un film di Ayuko Tsukahara tratto dal suo primo libro, le è piaciuto?
«Sì, ci sono piccole modifiche forse concordate tra sceneggiatore e regista, ma lo trovo molto fedele all'originale».


E quel titolo, "Cafe Funiculi Funicula". È vero che è una canzone molto popolare in Giappone?
«Sì, è molto famosa.

E c'è anche una parodia. Da una parte si ascolta l'originale, ispirata alla funicolare che arriva fino al Vesuvio, e dall'altra la parodia che cantano i ragazzini, Oni No Pantsu, che sarebbe poi il nome delle mutande tigrate indossate dagli Oni, gli orchi della mitologia giapponese».


Ma a Napoli ci è mai andato?
«Nooo ancora no, purtroppo. Sa, vorrei proprio andarci, e rendere omaggio alla città e al Vesuvio, da cui tutto è cominciato».


E dell'Italia cosa la colpisce, ogni volta che torna?
«La prima volta, nel maggio di due anni fa, sono rimasto molto impressionato dal Duomo di Milano. E da una libreria, Palazzo Roberti, a Bassano del Grappa. È gestita da tre sorelle. Mi ha colpito che vendessero libri in un luogo così meraviglioso».


Ci sono progetti per fare una serie tv tratta dai suoi romanzi?
«Non so se ne faranno una serie oppure un film, ma so che a Hollywood hanno un progetto su di me. I diritti sono stati venduti».


Se lei potesse tornare indietro nel tempo, cosa vorrebbe rivivere? Chi vorrebbe incontrare?
«Sicuramente vorrei rivedere mio padre, dirgli che in tutto il mondo leggono i miei libri».


Sembra che i suoi romanzi diano speranza alle persone, ne è contento?
«Grazie, questo è molto bello ma io non scrivo tanto con questa idea in testa. Vorrei, piuttosto, che i miei libri affiancassero le vite delle persone. Sarei felice se, quando qualcuno dei miei lettori si trova in difficoltà, si ricordasse in un angolino del cuore del mio libro, e che trovasse sollievo in questo».


Cosa è la felicità per lei?
«È una domanda difficilissima. Credo sia una gioia da condividere con le persone care, con gli amici. La felicità non la si può gustare da soli».


Cosa attrae giapponesi e italiani, e viceversa?
«Non lo so. Io ero un aspirante fumettista da piccolo e mi hanno colpito le pile di manga nelle vostre librerie. Ma anche i giapponesi amano l'Italia, vedo tante pizzerie e trattorie a Tokyo, e io stesso mangio spaghetti almeno tre volte a settimana».


Cosa vorrebbe dire agli italiani?
«Solo una parola: grazie. Per me l'idea di diventare scrittore, fino a qualche anno fa, era impensabile. Provo ancora meraviglia all'idea di essere letto in un Paese così lontano».

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